La stabilità di governo e l'occhio vigile sui conti promessi da Giorgia Meloni sarebbero bastati ieri a rassicurare i mercati se di mezzo non ci si fosse messa Christine Lagarde. Più che l'arrivo della Dama Nera a Palazzo Chigi, è stata Madame Bce a innervosire gli investitori, fino a spingere lo spread a quota 242 punti, il livello più alto da maggio 2020, e i rendimenti del Btp decennale al 4,5%, mentre la Borsa ha chiuso in rialzo dello 0,7%. Tensioni sui titoli di Stato non solo legate al rialzo dei tassi, «destinato a proseguire», ma anche al fatto che l'ex capa del Fondo monetario ha ribadito come lo scudo anti-spread (il cosiddetto Tpi) «non sia inteso per un Paese specifico ma per tutti i Paesi» e che non sarà un pasto gratis, poiché «il percorso del Paese in questione deve andare nella direzione giusta, va rispettato il quadro di bilancio, vanno rispettate le regole Ue». Per gli errori di politica economica, cioè quelli commessi da chi governa, c'è invece l'Omt: aiuti mirati in cambio di un assoggettamento ai vincoli del Meccanismo europeo di stabilità. È il peggio del peggio, e in 10 anni nessuno lo ha mai usato.
Insomma, Christine invia una sorta di «pizzino» ai futuri inquilini di Palazzo Chigi con scritto «chi sgarra, paga». Così il mercato reagisce, anche se la spia accesa sugli spread non è certo da allarme rosso e se, grazie al congelamento del Patto di stabilità fino alla fine del 2023, al momento l'Italia ha le carte in regola per ottenere la solidarietà europea. Resta però il dubbio sull'opportunità di uno strumento zeppo di condizionalità come il Tpi mentre è in corso un restringimento delle maglie monetarie. Un'azione che metterà ancor più sotto stress i conti pubblici e la tenuta della congiuntura, con l'inevitabile effetto di minori entrate per le casse statali. Molto dipenderà dall'evolversi della crisi energetica, ma Standard&Poor's già prevede l'Italia in lieve recessione nel 2023 (-0,1% il Pil). Pericoli tangibili che venerdì potrebbero indurre Moody's a tagliare a «junk» (spazzatura) il rating del nostro debito sovrano.
Per il nuovo esecutivo non sarebbe un buon viatico. Anche perché i mercati non firmano mai cambiali in bianco. Il primo test chiave del nuovo governo sarà «definire il suo obiettivo di deficit per il prossimo anno e presentare la legge di bilancio per il 2023», commenta Unicredit. In ogni caso, il ridimensionamento subìto nelle urne dalla Lega fa venir meno il timore che lo iato emerso in campagna elettorale con Fratelli d'Italia sullo scostamento di bilancio possa diventare una faglia insanabile, tale da mettere a repentaglio la tenuta della coalizione.
Proprio perché contraria a politiche fiscali espansive, la premier in pectore eviterà di ingaggiare un duello con Bruxelles, finendo per privilegiare un approccio collaborativo e tenendo a mente che le regole europee di bilancio e il Mes sono due temi che dovrà affrontare a stretto giro di posta. In cambio potrà ottenere i margini di flessibilità necessari per affrontare quelli che saranno mesi di navigazione turbolenta, sotto il profilo economico, per il nuovo esecutivo. Di fatto, la tenuta dei conti andrà di pari passo con l'intenzione di non stravolgere il Pnrr per evitare la perdita della terza tranche di aiuti.
Nei prossimi mesi, confermano gli esperti di Ubs, «le principali aree tenute sotto osservazione saranno la disciplina fiscale e la capacità di utilizzare appieno il Recovery Fund e di evitare atteggiamenti protezionistici».
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