In tempi di Coronavirus la Chiesa si affida al digitale. Nella settimana di Pasqua, la più importante del calendario per i cristiani, i parroci italiani sono costretti dalle disposizioni governative a rinunciare al proprio «popolo», all'approccio fisico, al corpo di Cristo. Una assenza che cade proprio nella domenica delle Palme, nel giorno in cui il Vangelo racconta in tutta la sua intensità e potenza la Passione del corpo di Gesù, attraverso la flagellazione, l'apposizione della corona di spine, la crocifissione, fino all'umanissimo grido «Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Una prova non facile per una religione che come tale vive di riti collettivi, un passaggio storico che scatena anche un dibattito politico, nato dalla proposta del mensile Tempi di riaprire le Chiese mantenendo le distanze di sicurezza, proposta che viene sposata con convinzione da Matteo Salvini. «Non vedo l'ora che la scienza e anche il buon Dio, perché la scienza da sola non basta, sconfiggano questo mostro per tornare a uscire. Ci avviciniamo alla Santa Pasqua e occorre anche la protezione del Cuore Immacolato di Maria» dice a L'Intervista di Maria Latella. La replica è del sindaco di Milano Beppe Sala che lo invita polemicamente a chiedere «alla Lombardia o al Veneto di fare un'ordinanza. Altrimenti siamo sempre alle parole e non ai fatti». Comunque «in questi momenti la fede può e deve essere un fatto personale e privato».
Al netto del botta e risposta politico c'è però una comunità disorientata che si ritrova a fare i conti con le Chiese chiuse e con l'assenza di un luogo dello spirito dove ritrovarsi a pregare e cercare conforto. E anche se la Quaresima, come spiegato da Papa Francesco, è il tempo in cui rinchiudersi nel deserto della propria solitudine, immaginare la settimana di Pasqua senza processioni, senza l'ulivo da portare a casa, senza il rito della Via Crucis al Colosseo non è facile e apre un complesso dibattito interno al mondo cattolico sul rapporto tra fede e ragione.
Naturalmente, però, c'è anche chi va oltre gli interrogativi e si organizza per tenere vivo il rapporto con la propria comunità ricorrendo alla Rete. Nascono così le iniziative dei parroci che decidono di dire la messa in streaming dalle terrazze così da essere visibili almeno per chi vive ai piani alti, le videochiamate ai fedeli ammalati, i videomessaggi in cui si invitano i bambini a disegnare ramoscelli d'ulivo e ad esercitare la fantasia per tenere vivo il simbolo della pace e di Gesù stesso.
Avviene così che a Napoli, nella chiesa di Santa Maria della Salute, don Francesco Gravino decida di celebrare la messa delle Palme sul tetto della chiesa per fare sentire la celebrazione meno chiusa. Oppure che Don Maurizio Mirilli, parroco della chiesa del Santissimo Sacramento nel quartiere di Tor de' Schiavi a Roma salga sul campanile postando sul suo profilo Facebook la diretta della celebrazione.
Ma c'è anche chi va oltre e si ingegna per garantire la massima partecipazione e interazione possibile alla sua comunità. É Don Roberto Battaglia, parroco della chiesa di San Girolamo di Rimini, che convoca i suoi parrocchiani sulla piattaforma Zoom. Ognuno segue così la messa da casa davanti al computer, con il microfono aperto partecipando alle letture e interagendo con le sollecitazioni del celebrante. E c'è anche il coro che con il pianoforte intona i canti.
Una messa diversa ma viva che stempera l'isolamento della quarantena, ricrea il suono e il senso di comunità, consente di partecipare ai sentimenti di Cristo e regala senso a una Quaresima di isolamento mai vissuta dalle nostre generazioni.
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