Nomine, il "boomerang" di Franceschini

L'ex ministro critica il governo sul caso Greco ma dimentica tutti gli amici che ha sistemato

Nomine, il "boomerang" di Franceschini
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Il dibattito che si è scatenato negli ultimi giorni sul direttore del Museo egizio di Torino Christian Greco dopo le critiche di alcuni politici del centrodestra è l'ennesima occasione per discutere di un tema che sta particolarmente a cuore alla sinistra: le nomine nel mondo della cultura. Il punto della questione non è infatti nel merito del singolo caso di Greco quanto nel metodo che porta alle nomine in enti culturali, musei, fondazioni, teatri. Partendo dal presupposto che la scelta del direttore del Museo egizio di Torino spetta al Cda dell'omonima fondazione e non al Ministero della Cultura, la levata di scudi dell'intellighenzia nostrana contro «l'occupazione della cultura da parte della destra» è surreale.

Passino le lamentele di intellettuali (o pseudo tali), scrittori (sedicenti), artisti (autoproclamati) di sinistra ma che sia l'ex Ministro della Cultura Dario Franceschini ad affermare che è «un boomerang nominare solo fedelissimi» nella cultura lascia basiti.

Intervistato da La Repubblica sulla vicenda del Museo Egizio di Torino, Franceschini ha affermato: «La cultura è un terreno che dovrebbe essere tenuto fuori dagli scontri politici perché è un patrimonio comune del Paese, è la nostra carta d'identità nel mondo. Per questo mi preoccupa quel che ho visto nell'ultimo anno».

Franceschini ha poi aggiunto: «Il primo segnale è stato il Centro sperimentale di cinematografia, poi riscrivere interamente la struttura del ministero. Dovranno essere rinominati 200 dirigenti. Qui si procede a colpi di interventi legislativi, una forzatura, per circondarsi non delle persone migliori, ma di quelle più affini politicamente. La destra si è sentita emarginata per tanti anni e ora immagina di potersi riscattare in questo modo. È grave. Noi abbiamo nominato direttori sia italiani che stranieri senza mai guardare all'orientamento politico».

Forse l'ex ministro della Cultura soffre di amnesie oppure è un amante dell'ironia perché affermare che il Pd non abbia «mai guardato all'orientamento politico» per fare nomine in ambito culturale è grottesco. I casi nel triplo mandato da ministro di Franceschini sono talmente numerosi che sarebbe impossibile ricordarli tutti ma alcuni sono particolarmente eclatanti.

La riconferma di Giovanna Melandri alla guida del MAXXI è in tal senso un esempio perfetto; nominata per la prima volta nel 2012 in era pre-Franceschini, è stata per dieci anni a capo del Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Non proprio una figura senza precedenti politici così come Goffredo Bettini nominato nel consiglio di amministrazione dell'Istituto Luce-Cinecittà.

Nel 2017 lo scrittore impegnato Nicola Lagioia è stato invece nominato dall'allora Presidente della Fondazione per il libro Massimo Bray a dirigere il Salone del libro di Torino con un'operazione avallata da Franceschini e dall'allora governatore del Piemonte Sergio Chiamparino.

Aveva fatto discutere a novembre 2021 la scelta di ventotto nomine dirigenziali da parte di Franceschini al punto da arrivare a un'interrogazione parlamentare da parte della senatrice Margherita Corrado: «Queste posizioni sono state assegnate senza concorso e l'anomalia sta nella discrezionalità assoluta. Se il criterio poteva essere la competenza e l'esperienza non è stato sempre preso nella dovuta considerazione». Che dire poi delle diciotto nomine fatte da Franceschini a camere sciolte e poco prima di lasciare il governo nel 2022?

La sinistra continua a considerare la cultura una cosa propria e quando governa (tanto a livello locale quanto nazionale) fa nomine su nomine scegliendo praticamente solo persone con un preciso orientamento ma se a farlo è la destra si grida «all'occupazione dei posti di potere» invocando scelte «bipartisan».

In realtà la vera questione sul rapporto tra la destra e la cultura non è legata solo al (pur necessario) spoils system

quanto a una visione a medio-lungo termine basata su valori, temi, progetti, persone che possano costruire una duratura politica culturale. Al di là delle singole nomine occorrerebbe domandarsi se ciò sta davvero avvenendo.

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