All'indomani del brusco stop al Consiglio europeo informale di lunedì sera, i diversi ambasciatori in campo per trovare la quadra sui futuri vertici delle istituzioni comunitarie hanno già ricominciato a tessere la tela. D'altra parte, il tempo stringe e mancano solo otto giorni al prossimo vertice di Bruxelles, quello che il 27 e 28 giugno dovrà formalizzare la candidatura del futuro presidente della Commissione (con un'intesa, dunque, anche su gli altri top jobs). Un appuntamento che, di fatto, è anche l'ultimo slot utile per chiudere la questione entro l'estate e non slittare a settembre. Peraltro, con il rischio che una vittoria del Rassemblement national di Marine Le Pen alle legislative francesi del 30 giugno e 7 luglio renda ancora più complicata - non numericamente, ma politicamente - la partita.
Inevitabile, dunque, che - nonostante la fumata nera di lunedì - il negoziato si sia rimesso rapidamente in moto. Sul fronte dei numeri e sul versante della politica.
I primi, infatti, dicono che von der Leyen per centrare il bis dovrà come nel 2019 partire dalla cosiddetta «maggioranza Ursula» tra Ppe, S&D e Renew, che con 404 seggi superano il quorum di 361. La seconda, però, è non meno decisiva, perché in queste votazioni l'Eurocamera - dove all'interno delle singole famiglie politiche si incrociano interessi trasversali e rivalità nazionali - ha una consuetudine con i franchi tiratori. E infatti nel 2019 c'è chi è arrivato a ipotizzarne tra 80 e 90. Di certo, von der Leyen fu eletta per nove voti e solo grazie al salvagente dei polacchi del Pis e del M5s. Insomma, alla «maggioranza Ursula» anche questa volta serve un corposo serbatoio di riservisti.
E qui entra in gioco il braccio di ferro in corso in questi giorni tra socialisti e popolari, con i primi - e un pezzo minoritario dei secondi - che guardano a sinistra verso i Verdi, d'accordo con i liberali di Renew. Ecco spiegati gli affondi di Scholz e Macron contro Meloni e la conventio ad excludendum verso Ecr. Lunedì pure il premier polacco, il popolare Donald Tusk, era su questa linea. Ma anche in questo caso si incrociano questioni interne, legate alla contrapposizione con il Pis (Ecr) e al suo rapporto con Macron.
Inevitabile, quindi, che la premier italiana non abbia gradito l'accoglienza al Consiglio di due giorni fa e il tentativo di isolarla portato avanti da Scholz e Macron (che hanno chiesto non partecipasse ai colloqui ristretti pre-vertice). Non a caso, riferisce chi era presente, Meloni ha passato la prima parte della riunione in silenzio, mentre nella seconda ha preso la parola per contestare l'approccio alla discussione. Pensavo che oggi - è stato il senso del suo intervento - il punto di partenza sarebbe stata una valutazione sul risultato del voto e non, viceversa, i nomi per i posti di vertice. In privato, con il suo staff, è stata ben più dura: è incredibile che i due grandi sconfitti delle elezioni (cioè Scholz e Macron) pretendano di decidere il destino dell'Europa da soli.
Ma se lunedì Tusk ha tenuto alta la bandiera del Ppe che guarda ai Verdi, ieri è stata la giornata dei Popolari a trazione centrodestra. «Quella per cui ha votato la gente è un'Europa di centrodestr. La nomina dei top jobs europei deve tenerne conto», tende la mano il presidente del Ppe Manfred Weber (che ieri si è mosso per fare campagna acquisti tra i «non iscritti»). E subito gli fa eco il vicepremier Antonio Tajani, che ormai da tempo è uno dei big del Ppe e che lunedì a Bruxelles - durante la riunione dei popolari - avrebbe avuto un duro scambio proprio con Tusk. «Bisogna tenere conto del voto e - dice - aprire le porte della maggioranza a Ecr». D'altra parte, è da tempo che il Ppe sta guardando a destra, una tendenza su cui ha fatto da traino la Cdu-Csu tedesca che dal 2021 si è iniziata ad allontanare da quel centro dove l'ha collocata per sedici anni Angela Merkel. Per capirlo, basta dare uno sguardo al Manifesto del Ppe su immigrazione e green deal.
La trattativa, insomma, è in corso. Tanto che ci sarebbe stato anche un contatto tre Meloni e von der Leyen. Sul tavolo, un commissario italiano con un portafoglio economico che comprenda anche le deleghe su Pnrr e fondi di coesione (che sembra disegnato su misura per Raffaele Fitto).
Oggi, invece, a Bruxelles è in programma una riunione allargata del gruppo Ecr in cui saranno annunciati una decina di nuovi ingressi tra romeni, irlandesi, croati, lituani, ciprioti. Con l'obiettivo di arrivare a quota 84, superare i liberali macroniani di Renew e diventare il terzo gruppo del Parlamento Ue. Così fosse, per Meloni sarebbe una discreta rivincita su Macron.
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