Bisogna andare indietro di vent'anni, a un presidente di Cassazione finito sotto accusa perché palpava qualunque cancelliera gli capitasse a tiro, per trovare un «faro» acceso dal Consiglio superiore della magistratura sulle molestie sessuali negli uffici giudiziari. Ma erano altri tempi, il #Metoo era di là da venire. Ora il tema riesplode grazie al caso Palamara: ieri il Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, annuncia di avere messo sotto procedimento disciplinare il procuratore della Repubblica di Firenze, Giuseppe Creazzo. Un notabile della magistratura italiana, un pezzo pesante di Unicost, la corrente di centro delle toghe, uomo di grandi relazioni e di grandi ambizioni. Che un giorno di dicembre del 2015 a Roma partecipa a un convegno, all'Hotel Isa in via Cicerone. Si parla di giustizia, di diritti, di temi nobili. Ma Creazzo, in una pausa, prende l'ascensore. Ci si trova a tu per tu con una collega di toga e di corrente: Alessia Sinatra, bella e bionda pm siciliana. E le mette le mani addosso.
Mercoledì pomeriggio, Salvi fa partire l'atto di incolpazione per Creazzo, il quale lo riceve ma non lo dice in giro. Il problema è che un atto di incolpazione arriva anche alla vittima, la Sinatra. Che va su tutte le furie e ne parla con i giornalisti, «mi sono sentita violentata un'altra volta», dice. Che colpa ha la Sinatra? Essersi confidata con Palamara, dando del «porco» e dell'«essere immondo» a Creazzo, in una chat intercettata dalla Guardia di finanza. Ieri Salvi, di fronte agli articoli che riportano lo sfogo della Sinatra, cerca di metterci una pezza spiegando che anche il molestatore è sotto procedimento disciplinare. Una sorta di par condicio, del tutto inconsueta, nel campo delle aggressioni sessuali: è la prima volta che accusata e accusatore vengono trattati allo stesso modo.
Salvi spiega che «è stato chiesto il giudizio anche della dottoressa Sinatra non certo per avere denunciato i fatti: la contestazione è infatti relativa all'uso improprio di quei fatti, al fine di ricercare una privata giustizia"». Parlandone con Palamara, secondo il pg della Cassazione, la Sinatra non si stava solo confidando: voleva vendicarsi impedendo che Creazzo ottenesse la carica di procuratore della Repubblica a Roma. «Giurami che il porco cade subito», chiede effettivamente la pm siciliana a Palamara.
Dal punto di vista della Sinatra poteva essere un intervento a fin di bene, per impedire che Creazzo portasse i suoi metodi anche nella Procura di Roma; per la Cassazione, gli insulti a Creazzo sembrano diventare invece parte integrante delle manovre di Palamara intorno alla nomina del nuovo procuratore della Capitale. A valutare se lo sfogo della Sinatra «costituisca condotta scorretta e se, in tal caso, essa possa considerarsi giustificata dagli aspetti personali coinvolti» sarà ora il Csm; che dovrà anche occuparsi della sorte di Creazzo. L'aspetto singolare è che a queste conclusioni la procura generale è arrivata senza sentire il testimone più diretto della vicenda, ovvero Luca Palamara. Il quale oltre che delle confidenze della Sinatra avrebbe potuto dire qualcosa su una piaga ben più diffusa: «A me - spiega nel libro Il Sistema - è capitato spesso di raccogliere confidenze di colleghe, cancelliere, avvocate e pure giornaliste ma anche di colleghi, perché l'omosessualità non è più un tabù neppure nelle aule dei tribunali riguardo a fatti spiacevoli, avance anche spinte ricevute da magistrati in posizioni apicali.
In questi casi ho sempre cercato di sminuirne la portata, non perché ne sottovalutassi la gravità, ma per tutelare il buon nome della categoria. Non ho mai denunciato, mi sono limitato a dare consigli di buon senso, come quelli di evitare di trovarsi da sole in determinate stanze e rifiutare inviti a cena».
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