La lunga traversata e ora la vittoria della balena verde griffata Matteo Salvini. Da quella notte di Bergamo quando nell'aprile 2012 anche Matteo Salvini imbracciò le ramazze insieme al popolo leghista perché l'è ura de netà fo' ol po'ler (è ora di pulire il pollaio) dagli scandali della Bossi family, al piano nobile del Quirinale dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe (o dovrebbe) affidargli l'incarico di formare il nuovo governo. Nel mezzo non un'ampolla d'acqua magica, ché quella del Po Salvini l'ha lasciata alla Lega degli antenati con l'elmo e le corna, ma l'intuizione di trasformare quel Carroccio che sembrava ormai un traballante carro di carnevale in una materna balena capace di accogliere tutti nel suo rassicurante ventre. Nessuna distinzione etnica (almeno regionale), tanto che dal simbolo sono spariti il verde Padania sostituito da un più elegante blu notte e quel Nord della secessione che almeno in teoria ancora troneggia in cima allo statuto della Lega. E poi via qualsiasi discriminazione per gusti sessuali e perfino la promessa di accogliere a braccia aperte profughi in comprovata fuga dalle guerre ed extracomunitari con regolare permesso di soggiorno e lavoro stipendiato qui da noi. Unico vero discrimine, forse, il bando al Corano che umilia le donne e ammazza i cristiani e quel rosario agitato nell'ultimo comizio in piazza Duomo, scatenando l'ira dell'arcivescovo di Milano Mario Delpini che lo ha ammonito a non contaminare la religione con la politica. Come se non fossimo in Italia dove a comandare per oltre cinquant'anni andando a braccetto con chiesa, preti e monache non sia stato un partito che al sostantivo Democrazia aggiungeva l'aggettivo «cristiana» e tanto di croce nello scudo. Non a caso un'altra balena. Bianca invece che verde.
Ma evidentemente la predica di Salvini ha convinto più di quella dell'arcivescovo se la Lega è passata dal 4 al 18 per cento. Una miracolosa moltiplicazione dei voti che ha consentito di contendere perfino roccaforti rosse al Pd come Piombino e di sbarcare addirittura in Sardegna, per la verità terra madre dell'indipendentismo, dove nella cuspide smeralda di Santa Teresa di Gallura la Lega ha raggiunto il 20 per cento. Ma non ci sono solo le sorprese esotiche, perché in Regione Lombardia dove l'improvviso e imprevisto abbandono di un vecchio colonnello dell'antica guardia come Roberto Maroni, non solo non ha incrinato la marcia del centrodestra, ma ha consentito alla Lega di asfaltare un ottimo candidato come Giorgio Gori seppellito dai voti dell'avvocato Attilio Fontana scelto da Salvini in poche ore per rattoppare la diserzione di quel Maroni da sempre considerato un corpo estraneo nel nuovo corso di Salvini. Che sembra proprio essere nello stato di grazia di un re Mida capace di trasformare in oro tutto quello che tocca.
Lontani i tempi dell'ingresso a nemmeno ventenne e pantaloncini corti in quel consiglio comunale di Milano che l'ha fatto crescere, così come la frequentazione del centro sociale Leoncavallo e il congresso della Lega a capo dei Comunisti padani. Ora i suoi punti cardinali sono il nazionalismo dello slogan «prima gli italiani» rubato addirittura a CasaPound e le frequentazioni internazionali con il Front national della famiglia Le Pen, il leader dell'Ukip britannico Nigel Farage e addirittura le relazioni diplomatiche con la Russia dello zar Vladimir Putin. Una rete costruita con i pochissimi fidati consiglieri che Salvini ascolta (primo fra tutti Giancarlo Giorgetti), ma che poi mette comunque da parte, secondo la lezione di Umberto Bossi, fidandosi solo di quel disumano istinto di animale politico che tanto lo fa assomigliare al Senatùr.
Chiaro che ora dismesse le felpe colorate e mese giacca e cravatta per prepararsi alla salita al Colle, il vero rebus è riformulare gli elementi dell'alchimia di un'alleanza di centrodestra che fino a oggi ha funzionato grazie alla leadership di Silvio Berlusconi consentendo di governare l'Italia e poi (o insieme) Lombardia,
Veneto, Piemonte e Liguria, ovverosia la parte produttiva del Paese. Ora è chiaro che l'alambicco è in mano a Salvini e ci sarà da capire se la sua capacità di mediazione sarà pari alla sua capacità di dar la caccia ai voti.
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