Un aggettivo di troppo, nelle scarne righe del quesito sottoposto al perito dai giudici del processo Ruby ter: quello che chiedeva di valutare lo stato di salute «anche psichica» di Silvio Berlusconi, dopo la nuova richiesta di rinvio dell'udienza per motivi di salute avanzata dai suoi difensori. Quell'aggettivo, come era inevitabile, ha scatenato l'indignazione del leader di Forza Italia e una ondata di polemiche politiche. Al punto che ieri il presidente del tribunale di Milano, Roberto Bichi, deve intervenire con un comunicato in cui spiega che in aula «né la difesa né il pm hanno proposto osservazioni» sul testo del quesito formulato dal giudice Marco Tremolada. E che comunque l'obiettivo era solo «l'accertamento delle condizioni di salute» di Berlusconi «non limitato alla mera partecipazione fisica dell'imputato all'udienza» ma anche alla sua capacità di partecipare alla «elaborazione di una linea difensiva». Bisognava, aggiunge Bichi, verificare anche la «eventuale irreversibilità dell'impedimento»: perché se i guai di salute di Berlusconi fossero cronicizzati, allora sarebbe inevitabile separare la sua posizione e proseguire col resto del processo.
Che però scoppiasse il putiferio era prevedibile. Anche se a smussare la situazione è poi arrivata la decisione di Berlusconi di rifiutare la visita del perito ma anche di rinunciare d'ora in avanti a chiedere ulteriori rinvii per motivi di salute. Il processo, ha scritto il Cavaliere ai giudici, può andare avanti anche senza la mia presenza. Tutto risolto dunque? Non proprio. Perché la lettera di Berlusconi al tribunale ha solo conseguenze sul breve periodo, mentre non è affatto scontato che l'ex premier rinunci definitivamente a fare la propria parte in aula.
La conseguenza immediata della lettera è che il giudice Tremolada ha annullato la nomina del perito e ha disposto la prosecuzione del processo. La prossima udienza, problemi logistici permettendo, è fissata per il prossimo 6 ottobre. In calendario c'è l'interrogatorio del ragioniere di fiducia del Cavaliere, Giuseppe Spinelli, che si occupava materialmente dei bonifici alle Olgettine. Poi la lista dei testimoni dell'accusa è quasi finita: mancano solo l'ex capo della polizia giudiziaria Marco Ciacci e il suo successore Giorgio Bertoli, al massimo un paio di udienze. E a quel punto il codice prevede che la parola passi agli imputati.
È una chance, quella di rivolgersi direttamente ai giudici, cui Berlusconi ha sempre tenuto molto: lo ha fatto nel primo processo Ruby voleva farlo anche nel filone senese del Ruby ter. In questo processo la decisione con i legali non è stata ancora presa: ma se il Cavaliere scegliesse di parlare, allora potrebbe nuovamente chiedere un rinvio in attesa di poter affrontare l'impegno. E l'esigenza di una perizia, magari più circoscritta, tornerebbe d'attualità.
L'alternativa, se tutti fossero d'accordo, sarebbe spostare l'intervento del Cav in aula dopo l'interrogatorio dei testimoni delle difese: che sono una marea (solo Berlusconi ne ha indicati più di cento) e rischiano di occupare molti mesi.
Una valanga di udienze che va ad aumentare la statistica sugli impegni giudiziari cui il Cavaliere è stato sottoposto in questi anni, e che secondo i suoi medici ha contribuito ad acuirne lo stress: a partire dalla discesa in campo con Forza Italia, Berlusconi è stato sottoposto ad almeno novanta procedimenti penali che hanno impegnato 130 avvocati e cinquanta consulenti. Complessivamente, le udienze tenute nei processi contro il leader azzurro assommerebbero alla cifra astronomica di 3.800.
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