Tornano gli sbarchi, tornano i morti in mare, torna il protocollo Albania. A un pugno di giorni dal mancato arresto del criminale di guerra libico Osama Njeem Almasri per un errore nella procedura, è come se la Libia fosse tornata a sfornare disperati da mandare in Italia: sono 469 le persone arrivate in una decina di sbarchi a Lampedusa, mentre altri 127 profughi su due imbarcazioni partite da Zuwara, in Libia, sono stati soccorso da un'unità della Guardia costiera e ed un'altra di Frontex al largo dell'isola siciliana. In un barchino ce n'erano 46 persone, in un altro altri 60, sul terzo barchino 41 persone, su un altro natante erano in 35. La Guardia di finanza ha intercettato un barchino a 50 miglia da Lampedusa, con 61 persone, un secondo con 48, un terzo natante con 9 persone e un ultimo barchino con 44 profughi.
Di questi quasi 500 sono 49 i maschi, maggiorenni e non vulnerabili, provenienti da uno dei Paesi sicuri indicati nella lista contenuta nel decreto Flussi approvato dal governo un paio di mesi fa ed entrato in vigore l'11 gennaio (e che tra l'altro consegna alle Corti d'Appello la competenza sui rimpatri accelerati), sono stati imbarcati sulla nave militare Cassiopea e diretti al porto di Shengjin in Albania e poi all'hotspot di Gjader, dove dovrebbero arrivare domani mattina ed essere sottoposti alla «procedura accelerata di frontiera» per valutare le loro richieste di asilo.
Si tratta prevalentemente di egiziani e bengalesi, 15 sono i superstiti del naufragio al largo delle zone Search and Rescue maltese a 58 miglia da Lampedusa, con Malta che ha assunto il coordinamento dell'operazione con l'ausilio aereo Frontex «Eagle 1» e quello della motovedetta Cp 322 della Capitaneria di Lampedusa, che ha recuperato i 15 superstiti e le tre salme con destinazione l'isola. Tre cadaveri, due di bambini, sono stati trasbordati dalla Ong Sea Punk sulla motovedetta della Guardia costiera che ne aveva già recuperati una trentina, intercettati da tre pescherecci, a poca distanza dal primo naufragio. A detta dei naufraghi vi sarebbero almeno altri tre dispersi.
Il Viminale fa sapere anche che dei 127 migranti, 53 hanno presentato spontaneamente il proprio passaporto per evitare il trasferimento in Albania: una circostanza di particolare rilievo, in quanto consente di attivare le procedure di verifica delle posizioni individuali in tempi più rapidi anche a prescindere del trattenimento, aumentando le possibilità di procedere con i rimpatri di chi non ha diritto a rimanere in Europa e dimostrando l'effetto deterrenza che l'intesa con Tirana ha avuto sui migranti.
Il protocollo Albania si era fermato lo scorso novembre dopo che i giudici della sezione Immigrazione del tribunale di Roma non avevano convalidato i trattenimenti disposti dal questore della Capitale per i 20 stranieri trasferiti in Albania in due distinte missioni. Ma la decisione del governo di togliere loro la competenza pur di disinnescare le riserve della magistratura più ideologica, ha trovato fondamento anche in una sentenza della Cassazione che dà ragione al governo sulla definizione di Paese sicuro, sostenendo che il magistrato deve decidere se il Paese di approdo non è sicuro non sulla base di generiche valutazioni o con sentenze fotocopia ma dopo un'istruttoria approfondita tarata sul singolo clandestino.
I magistrati sono sulle barricate: l'altro giorno il presidente della Corte d'Appello della Capitale Giuseppe Meliadò all'inaugurazione dell'Anno giudiziario è stato chiaro: «Desta sgomento la scelta di trasferire alla Corte di appello di Roma le procedure di convalida dei
provvedimenti di trattenimento degli stranieri adottati dal questore, è priva di alcuna apparente razionalità e rischia di destabilizzare i già precari equilibri del contenzioso». Insomma, una vera dichiarazione di guerra.
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