Alberto Mingardi, direttore dell'istituto liberale «Bruno Leoni», ha in uscita nelle prossime settimane un saggio (insieme a Gilberto Corbellini), La società chiusa in casa, che richiamando Popper analizza l'impatto della pandemia e della paura sulle libertà individuali.
Mingardi, a proposito di paure, ha visto le piazze contro il green pass. Chi sono le persone che vanno a protestare?
«Nelle manifestazioni più contenute dei giorni scorsi c'erano essenzialmente militanti politici. L'Italia non ha grande tradizione di libertari che si mobilitano per la libertà individuale, inclusa quella di non vaccinarsi, ma ha tanti gruppi politici che possono sfruttare strumentalmente qualsiasi tema: dall'ultrasinistra che vede nel green pass un complotto delle case farmaceutiche, all'ultradestra altrettanto anticapitalista. Ma attenzione. È sempre un errore (penso ai grillini) valutare la forza di un movimento dalla qualità dei suoi leader. Questi possono essere degli estremisti ma ciò non significa che a chi li segue non si debba dare una risposta diversa da state zitti, bifolchi».
Cosa si dovrebbe fare?
«In un Paese come il nostro, che è il Suddistan, ci sono sussidi e incentivi statali di ogni tipo. È possibile che al governo non sia venuto in mente di pensare a dei premi per chi si vaccina? Sarebbe un incentivo più efficace di altri per gli indecisi. Si poteva pensare ad una lotteria per un biglietto per la finale degli europei, o anche, oggi, dei biglietti del cinema o un abbonamento dello stadio»
Filosofi come Cacciari e Agamben parlano di un regime dispotico che discrimina le persone tra cittadini di seria A e serie B. Ma davvero la libertà è minacciata?
«Direi che Cacciari e Agamben arrivano con un secolo di ritardo. Dalla prima guerra mondiale le strutture dello Stato moderno utilizzano i documenti per controllare la vita delle persone. Pensi solo a quanto lo Stato sa dei nostri conti correnti e delle nostre abitudini di consumo, oggi. C'è però un tema, importante, che Agamben ha sottolineato ripetutamente: come fare in modo che certi restrizioni, introdotte per la pandemia, non diventino permanenti. I precedenti non sono rassicuranti: quando lo Stato si prende un potere, di solito se lo tiene.
Il green pass è davvero l'equivalente del lasciapassare in uno Stato totalitario?
«Questa è una esagerazione. Nei regimi dispotici il lasciapassare veniva assegnato discrezionalmente dal gerarca di turno, il green pass lo rilasciano computer che registrano semplicemente un dato di fatto, quante dosi hai fatto. Va anche detto però che se i sostenitori del vaccino sono i primi a voler far passare i non vaccinati da cittadini di serie B, non ne usciamo di più. Ancora una volta stiamo moralizzando la pandemia. È un problema».
Quindi il governo, e il fronte pro vax, stanno sbagliando approccio comunicativo?
«Mi sembra chiaro, pensiamo solo a quanto è stato fatto con Astrazeneca. La gente si è spaventata, ma come poteva spaventarsi se sembrava che il governo non sapesse che pesci pigliare? Il migliore spot ai vaccini lo ha fatto Checco Zalone, con La Vacinada. È l'unico che ha dato un messaggio chiaro e pensato per parlare a tutti: ci si vaccina per ridurre sostanzialmente i rischi per sé e, così facendo, per evitare quel sovraccarico per le strutture ospedaliere che ha costretto ai lockdown. Bisogna dirlo con parole semplici ed efficaci».
Qualcuno però pensa ad un obbligo di vaccino per certe categorie particolarmente esposte. Lei, da libertario, è d'accordo?
«Per i medici ha un
senso, ma lo ha altrettanto per gli insegnanti perché hanno a che fare con i ragazzi. Trovo che sia molto più economico, sensato e fattibile vaccinare tutti gli insegnanti piuttosto che puntare a vaccinare tutti gli studenti».
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