"Vi dico qual è il vero paradosso della libertà"

I casi di limitazione e addomesticamento sono ormai numerosi, in queste due settimane di guerra in Ucraina. Il professor Ocone spiega come stanno le cose

"Vi dico qual è il vero paradosso della libertà"

C’era una volta il liberale purosangue che avrebbe difeso il diritto a esprimersi anche del peggior avversario. Idealizzata o no che fosse, era una figura che ancora resiste nell’immaginario collettivo. Ora, mentre spira un vento di mal sopportazione, se non proprio di intolleranza verso chi, per citare Indro Montanelli, “fa stecca sul coro”, sono state flebili e sparute le voci di coloro che, pur schierati senza se e senza ma con l’Occidente liberale, hanno condannato il clima fattosi pesante sull’altro fronte di queste tese giornate di guerra: quello della libertà di espressione e di informazione. I casi di limitazione e addomesticamento sono ormai numerosi, in queste due settimane di guerra in Ucraina: il maldestro tentativo di censura dell’Università Bicocca a Paolo Nori su un corso riguardo Dostoevskij, il professor Alessandro Orsini bacchettato dalla Luiss, il corrispondente della Rai da Mosca, Marc Innaro, preso di mira e messo a riposo assieme a tutti gli altri giornalisti in loco, la lista pubblicata da Gianni Riotta con i filo-putiniani, o presunti tali, nel nostro Paese, la Fiera dei Libri per ragazzi di Bologna che chiude le porte agli editori russi, l’ateneo di Trento che sospende ogni attività con studiosi russi. E speriamo di finir qui. Un intellettuale che può senz’altro fregiarsi dell’etichetta di liberale doc è Corrado Ocone, filosofo e autore di una sterminata serie di saggi dedicati al liberalismo. Una visione del mondo che ha prevalso, come pensiero di riferimento delle nostre élites. Ma che in realtà, secondo Ocone, è soggetto a “perversioni”. Se non, addirittura, al totale misconoscimento per crassa “ignoranza”.

Tira aria di maccartismo, professor Ocone?

“Purtroppo è un tema che si ripropone spesso, lo abbiamo visto anche durante la pandemia. Distinguerei alcuni elementi diversi. La libertà di parola e opinione è uno dei fondamenti della cultura alla base degli Stati di diritto e delle democrazie occidentali, ma come tutte le libertà concesse dal potere non va considerata come naturale, ma come un’eccezione. Non solo perché è una conquista relativamente recente nella Storia, ma soprattutto perché la tendenza, questa sì naturale, delle persone, specialmente diciamo di quelle meno istruite, non è alla libertà, semmai alla protezione e alla sicurezza. La libertà di pensiero presuppone una consapevolezza interiore che va costruita e coltivata. Non c’è stata un’educazione efficace su questo. Basta vedere cosa son diventate le università, che hanno subìto un processo, partito dagli Stati Uniti d’America e dall’Inghilterra, di progressiva trasformazione da luoghi del sapere a centri di impegno militante, di commercializzazione e di ignoranza. Io direi, quindi, che la causa alla radice degli episodi di cui stiamo parlando è proprio la stupidità. Aiutata dai media che fanno continua opera di semplificazione e banalizzazione”.

Allora ha più ragione di quel che si può pensare Massimo Cacciari, quando accusa chi stila liste di proscrizione di essersi “bevuto il cervello”?

“Una volta, accanto a organi di stampa di partito e nettamente schierati, come L’Unità o Paese Sera, c’erano anche giornali più o meno indipendenti. Oggi mi pare che di Unità e Paese Sera ce ne siano davvero tanti. Ma ripeto, il fenomeno agisce a partire da più piani, quello universitario che forma specialisti privi di una vasta cultura, e quello di un mondo intellettuale e giornalistico talmente abituato a schierarsi che non si capisce più dove inizia la propaganda e dove l’onestà intellettuale. Alla quale viene preferito il criterio della fedeltà”.

D’accordo, ma i liberali genuini non dovrebbero farsi più vivi? Andando sullo specifico, come giudica i casi finora emersi?

“Il più clamoroso è quello su Dostoevskij. Se c’è un autore che dal punto di vista occidentale, perché la Russia fa parte della cultura occidentale, appaga la fame profonda dell’animo umano, quello è proprio Dostoevskij. Preferisco leggere lui che, tanto per dire, Hayek (filosofo neo-liberale amato dalla Thatcher, ndr)”.

Non trova significativamente paradossale che si cerchi di limitare la libertà di pensiero in nome dei valori liberali dell’Occidente?

"Potremmo definirlo il paradosso della libertà. Essendo questa il Valore, tende ad auto-contraddirsi”.

Può spiegarsi meglio?

“Se il valore della libertà viene estremizzato e assunto a verità assoluta, diventa nichilismo. Vede, il liberalismo non è un’ideologia come le altre, come il comunismo, il fascismo o il nazismo. Non ha ricette prestabilite, e non è né una teologia né un’etica prescrittiva. La sua idea-cardine è il dubbio, sugli altri e su se stessi. Insegna il limite”.

Perciò anche il liberalismo dovrebbe auto-limitarsi, per essere davvero tale?

“Anche il liberalismo ha i suoi limiti. Anzi, è connesso all’idea di limite. Diciamo, per esempio, che in un mondo dove il globalismo è un assoluto, un liberale dovrebbe capire le ragioni del sovranismo. E viceversa. Dovrebbe vivere in una continua tensione degli opposti, non farsi portatore di un pensiero unico”.

Ma non è un pensiero che vuol farsi unico, quello degli attuali censori che si definiscono liberali? Nelle università americane ci sono vari docenti, come Stephen Walt, editorialista di Foreign Policy e professore ad Harvard, che sostengono che i liberali sbagliano approccio, volendo esportare la democrazia con la forza.

“Credo che si riferisca ai liberal, non ai liberali tout court. Da un lato abbiamo una sinistra liberal, appunto, che vagheggia un’umanità perfetta, iper-corretta, panglossiana. Dall’altro, una destra che fa della libera iniziativa una metafisica, con la finanza come feticcio. Sono ambedue delle perversioni. Pensare che il liberalismo come ‘fine della Storia’, in cui la globalizzazione dei mercati e dei diritti, ovunque sia estesa, si affermi automaticamente, è un’utopia provvidenzialista. Russia e Cina commerciavano e commerciano alla grande con noi, eppure… Si tratta di un’ingenuità. Per questo personalmente sono sempre stato contrario a esportare a forza la democrazia e le nostre libertà, che poi è il nostro edonismo. Più che liberalismo, è la versione attuale del giacobinismo, che Vincenzo Cuoco, scrivendo contro la rivoluzione giacobina napoletana nel 1799, condannava osservando come i giacobini volessero imporre la Costituzione francese per meravigliarsi poi che il popolo non li seguiva… È il vizio del politicamente corretto, che è il vero virus. Ma ora che c’è la battaglia in corso, trovo anche masochista approfittarne per non difendere i nostri valori”.

Ma non è proprio l’autocritica il sale della democrazia ‘liberale’?

“Sì, ma se c’è la capacità di distinguere, che mi pare si sia persa. Anche se ci fa da sprone, ora bisogna fermare questo pazzo di Putin. Gli editori russi lasciati fuori dalla Fiera del libro mi risultano essere per lo più statali. Ecco, se fossimo propriamente in guerra, non sarebbe illegittima una misura del genere”.

E non siamo di fronte a una guerra?

“Non lo siamo come Stato, perché le guerre si dichiarano. Detto ciò, non sorprendono reazioni illiberali di questo tipo. Se la cultura italiana è diventata Michela Murgia o se le università anziché il senso critico insegnano la sostenibilità ambientale, i risultati sono questi”.

Sembra che per lei di liberali autentici ce ne siano pochi, in giro. Come un tempo.

“Il liberale è per natura minoritario e tendenzialmente all’opposizione.

Benedetto Croce usava il termine “aristocratico”. La cultura liberale dovrebbe permeare tutti i partiti. Ma, sempre per citare Croce, è come la ginestra di Leopardi: piantata su un vulcano, basta un venticello perché voli via”.

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