New York - Lo scandalo dei Panama Papers si insinua nella campagna elettorale americana e nel governo britannico. Ieri il premier inglese Davide Cameron ha ammesso di aver avuto una quota della società offshore creata dal padre Ian (scomparso nel 2010), precisando di averla venduta per «30.000 sterline» poco prima di diventare primo ministro e di aver pagato tutte le tasse dovute. Negli Usa l'imbarazzo coinvolge la candidata alle primarie democratiche Hillary Clinton, secondo il Washington Free Beacon e il Washington Examiner, publicazioni vicine ad ambienti ultraconservatori. La connessione, per ora non provata, chiama in causa John Podesta, capo della sua campagna elettorale, ed ex capo di gabinetto del presidente Bill Clinton e consigliere di Barack Obama.
Le rivelazioni parlano di un coinvolgimento, tra i nomi citati nell'archivio dello studio legale panamense Mossack Fonseca, del Podesta Group, co-fondato da John e guidato dal fratello Tony Podesta. La società avrebbe svolto un ruolo di lobby per la Russian Sberbank (la maggiore banca del Paese), nominata nei Panama Papers per il suo coinvolgimento negli accordi segreti svelati dall'International Consortium of Investigative Journalists. Accordi che avrebbero contribuito ad arricchire molti esponenti dell'inner circle del presidente russo Vladimir Putin. Il ruolo del Podesta Group, in particolare, sarebbe stato quello di lavorare per ridurre l'impatto delle sanzioni americane alla Russia, facendo pressione per una loro eventuale sospensione. E non è tutto, poiché nelle carte compare anche il nome di Bidzina Ivanishvili, miliardario georgiano ed ex primo ministro del paese caucasico, nonché stretto alleato del leader del Cremlino, che sarebbe apparso in una email della Clinton tramite il suo amico di lunga data Sidney Blumenthal. Il nome dell'ex first lady non è emerso ma i suoi rapporti con i soggetti menzionati mostrano la vastità delle sue relazioni internazionali. E questo potrebbe far montare non poco le critiche per le sue relazioni finanziarie attraverso la charity di famiglia, la Clinton Foundation.
Chi non ha perso l'occasione per assestare un nuovo affondo è il suo rivale Bernie Sanders, secondo cui queste affermazioni - provate o meno che siano - costituiscono una macchia nera. Il senatore socialdemocratico ha accusato Hillary di aver sostenuto l'accordo di libero scambio con Panama quando era titolare di Foggy Bottom, che a suo parere ha aperto la porta ad una maggiore evasione nel paradiso fiscale da parte degli americani. Sanders nel 2011 si oppose a tale accordo, intervenendo in Senato e dicendo che avrebbe reso una «brutta situazione molto peggiore». Mercoledì, durante un comizio in Pennsylvania, ha rincarato la dose: «Non credo che tu sia qualificata - ha detto riferendosi a Hillary - se hai sostenuto l'accordo di libero scambio con Panama, che ha reso più facile per i ricchi e le aziende evadere le tasse» dovute nei propri paesi».
La nuova gatta da pelare arriva in un momento per nulla roseo per la front runner dell'Asinello, che dopo la sconfitta in Wisconsin negli ultimi sondaggi è stata superata da Sanders a livello nazionale (49% contro 47 secondo la
proiezione di Marist e McClatchy). Stessa situazione in cui si trova Donald Trump in campo repubblicano, reduce dalla batosta alle primarie di martedì e sorpassato da Ted Cruz per 39% contro 37% nell'ultimo sondaggio di Reuters.
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