Dall'orgoglio alla paura. In una parola, Lgbtq-. Gli ebrei omosessuali scoprono il nemico a sinistra e non saranno presenti al Gay Pride di Milano, previsto per sabato. Ricacciati nel ghetto e odiati come ogni 25 Aprile, nel silenzio del Pd e della sinistra, dopo che l'organizzazione ha escluso la presenza di simboli israeliani nella parata, evocando nel manifesto curato dall'Arcigay la parola «genocidio» per definire la guerra a Gaza scatenata dalla mattanza di Hamas del 7 ottobre scorso. Altro che inclusione, libertà, I am what I am. Tutta l'ipocrisia antisemita del movimento Lgbtq+, a dispetto dell'idea di inclusione e di quel «+» solo di facciata, è venuta fuori nella conferenza stampa organizzata dagli Ebrei Lgbtq+ di Keshnet Italia, alla quale hanno aderito il giornalista Alessandro Cecchi Paone, il consigliere comunale di Azione Daniele Nahum, il parlamentare di Italia Viva Ivan Scalfarotto, la Comunità Ebraica, rappresentata da Manuela Sorani e dal portavoce Davide Romano, che ha moderato gli interventi e anche il massmediologo Klaus Davi, il più duro contro Elly Schlein («Lei potrebbe amare in Iran?») e contro l'Arcigay, definito «ingato, vigliacco e ignorante». Assente last minute il Pd Emanuele Fiano, non senza mormorii.
«Israele è l'unico Paese in Medioriente che da 30 anni garantisce i diritti gay e le minoranze» dice Nahum, che da mesi denuncia l'antisemitismo di sinistra. Prima strappa qualche applauso con una provocazione («Vorrei trovare qualcuno che ha fatto il Pride a Gaza o in Cisgiordania») poi chiede alla leader Fdi Giorgia Meloni di «cacciare» i militanti coinvolti nell'inchiesta di Fanpage. Anche lui diserterà il Pride, per la prima volta dal 2003, per la sua netta contrarietà al divieto di esporre la bandiera arcobaleno con la Stella di David che campeggia sul bancone. A Raffaele Sabbadini, presidente di Keshet Italia, che ha denunciato chi soffia odio su Israele dal 7 ottobre nei commenti sulle piattaforme del Pride, chi sta «avvelendando i pozzi» all'interno del movimento Lgbtq+ a Bergamo ma anche a Torino e a Padova, con «un clima negativo, un linguaggio e una terminologia» che mescola «disinformazione e razzismo» e che rischia di «seppellire» le istanze del movimento. «Noi siamo sempre gli stessi dell'anno scorso, sempre dalla stessa parte, lo ripeterò cento volte. Che cosa è cambiato dall'anno scorso?», si chiede polemicamente Sabbadini, che ha vietato la partecipazione dei suoi per evitare di mettere a repentaglio l'incolumità dei suoi. Per Ivan Scalfarotto «la comunità Lgbt è il classico capro espiatorio utilizzato per compattare il popolo dai regimi autoritari, dalla Russia all'Iran, secondo uno schema che nel secolo scorso riguardava gli ebrei», dove «i gay li impiccano alle gru o li lanciano dal settimo piano a mani legate». «È insopportabile pensare che i gay ebrei devono aver paura di partecipare al Pride per l'ignoranza crassa di confondere la bandiera di Israele con il governo primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, nel silenzio degli onesti come diceva Martin Luther King» mentre per una parte del movimento gay Israele «fa pink washing», un sostegno di facciata.
Se Cecchi Paone stigmatizza
proprio l'ipocrisia di quel plus aggiunto alla sigla Lgbtq in nome dell'inclusività, è nel ricordo delle parole di Ugo La Malfa che si guadagna l'applauso: «La libertà dell'Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme».
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