
Come accade di solito nelle serate post-elettorali sono le facce dei collegamenti tv a spiegare il voto. Sorrisi pieni nei quartier generali di Friedrich Merz e di Alice Weidel, espressioni tirate e sospiri dalle parti di tutti gli altri leader politici. Le elezioni «più importanti della storia di Germania» come qualcuno le ha definite si concludono con due vincitori attesi, Cdu e Afd (a cui si aggiunge l'estrema sinistra della Linke), e una sorpresa. Il dato inaspettato è quello dell'affluenza, l'84%, lontanissimo non solo dal 76,4% del 2021: bisogna tornare ai primi anni Novanta, quelli della riunificazione, per trovare un dato superiore. Alla fine i tedeschi hanno sentito l'importanza del momento, la crisi economica, quella migratoria, quella internazionale. E il risultato è stata una polarizzazione inedita del voto. A sinistra la Linke orfana di una dei leader più carismatici, Sahra Wagenknecht, ha ottenuto percentuali record. A destra, come previsto, Alternative für Deutschland, ha quasi raddoppiato i voti ottenendo la pratica consacrazione della posizione di primo partito in tutta la parte orientale del Paese. E dalle prime analisi del voto risulta anche che Afd ha ormai largamente superato la disastrosa Spd (peggior dato di una più che centenaria storia) nelle preferenze delle fasce di elettori a basso reddito, quelle che una volta si sarebbero dette classi lavoratrici. Obiettivo raggiunto anche per la Democrazia Cristiana di Friedrich Merz che, pur con il secondo peggior risultato dal Dopoguerra, è riuscita a confermarsi prima forza in grado in grado di esprimere il nuovo cancelliere.
Ce n'era abbastanza perchè Donald Trump esprimesse la sua soddisfazione: in un post sul suo social Truth, il presidente americano ha commentato: «Sembra che il partito conservatore in Germania abbia vinto le grandi e attesissime elezioni. Proprio come negli Stati Uniti, il popolo tedesco si è stancato di un'agenda priva di buon senso, soprattutto in materia di energia e immigrazione, che ha prevalso per tanti anni. Un grande giorno per la Germania e per gli Stati Uniti d'America sotto la guida di un signore di nome Donald Trump».
Autocelebrazione del presidente a parte, i «conservatori» di Adf e quelli della Cdu siederanno da parti opposte del Bundestag. Se i risultati emersi in base agli exit poll di ieri sera saranno confermati Merz avrà di fatto una soluzione obbligata, quella di una grande coalizione con i sofferenti socialdemocratici che avrebbe 328 voti (316 la maggioranza richiesta). Solo un accordo Cdu/Afd, esclusa in tutti modi da Merz, potrebbe essere un'alternativa.
Il cancelliere in pectore ha già chiesto ieri agli eventuali partner (che non ha nominato) di fare in fretta, anche se le cose potrebbero complicarsi se l'Fdp raggiungesse quota 5% e riuscisse ad entrare in Parlamento. A quel punto il riequilibrio dei seggi richiederebbe un'intesa a tre con Spd e Verdi (la cosiddetta coalizione Kenya) o con Spd e liberali stessi (coalizione Germania).
Per il momento comunque l'ipotesi più probabile resta l'accordo tra Cd/Csu e socialdemocratici. La soluzione nel recente passato (buona parte degli anni della Merkel) ha garantito alla Germania una governabilità che le ha consentito di assumere e mantenere un ruolo guida in Europa. Merz ha parlato della volontà di ricreare il tradizionale asse con la Francia (si è parlato anche della possibilità di allargare l'ombrello nucleare di Parigi), venuto meno negli ultimi anni per i problemi di Macron e la paralisi della coalizione al potere a Berlino. Quanto ai rapporti con l'America Merz, da sempre considerato un atlantista ad oltranza ha espresso nei giorni scorsi la sua opinione: «Ora l'Europa deve fare da sola, non possiamo più aspettarci il sostegno degli Usa» .
L'auspicio di una forte leadership europea dovrà fare i conti con la tradizionale visione di politica fiscale del leader Cdu.
Da sempre è considerato un «falco» contrario a una condivisione del debito. Con il tempo sembra aver moderato la sua posizione, sopratutto per quanto riguarda i problemi di bilancio interni e il cosiddetto freno al debito.
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