Non solo la linea politica, non solo i nomi per la leadership, non solo l'identità politica stessa del partito: a dividere e far litigare il Pd ci sono anche i tempi.
Ossia: servono sei mesi (sei mesi, la metà del tempo impiegato da Mao per la Lunga Marcia) per fare un congresso e rimpiazzare un segretario che ha annunciato di volersi far da parte lo scorso 26 settembre, o magari ne potrebbero bastare cinque, o addirittura quattro? L'amletico interrogativo dovrebbe (ma il condizionale è d'obbligo) essere sciolto nell'Assemblea Nazionale convocata per sabato e chiamata a tracciare il percorso verso le assise. Un percorso esposto alle intemperie - ci sono le elezioni regionali in Lazio e Lombardia, c'è da fare opposizione al governo della destra e ai suoi provvedimenti - e alle incursioni corsare del Terzo Polo, che non solo getta scompiglio nel Pd proponendo candidati governatori (l'assessore Alessio D'Amato per il Lazio, accettato dai dem, e Letizia Moratti per la Lombardia, su cui si allarga il pressing), ma «ruba» eletti e dirigenti al Nazareno. Per non parlare degli avvoltoi grillini, che volano a larghi giri sulla lunga marcia dem.
La petizione per accelerare il congresso ha raccolto centinaia di firme di dirigenti, parlamentari, amministratori. A voler evitare i tempi biblici, oltre che il buon senso, è soprattutto l'ala riformista del Pd che punta sul governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, che ha già il logo, i documenti e l'agenda della campagna congressuale pronti nel cassetto, ed è forte di una struttura già operativa sul territorio. A preferire un rinvio alle calende greche, invece, è la sinistra interna, che ancora non sa che pesci pigliare ed è divisa tra varie ipotesi e candidature (Orlando, Provenzano, Schlein, Benifei), e destabilizzata dall'irruzione di Elly Schlein. La quale ha anche lei bisogno di più tempo possibile per costruire il supporto delle correnti: sinistra, Prodi, Letta, Franceschini. Elly manda avanti i bersaniani della ex Leu a chiedere di rallentare il processo, con la scusa di consentire agli ex scissionisti di rientrare nel Pd. A ieri sera, la discussione sui tempi era ancora in alto mare, con il segretario uscente che da un lato assicura di condividere l'esigenza di «far presto» e dall'altra prova a pilotare la successione (tramite Schlein) dai piani alti del Nazareno. «Modificare le regole per accelerare i tempi è molto difficile», dicono i suoi. «Macchè difficile, serve la volontà politica», replicano da Base riformista.
Nel frattempo, si assegnano le postazioni parlamentari che spettano alle opposizioni. Ieri Dario Franceschini è stato eletto all'unanimità (quindi coi voti del centrodestra, oltre che dei 5S) presidente della Giunta elezioni del Senato. La prossima tappa sarà la scelta del presidente del Copasir, il comitato di controllo sui servizi. Il candidato di punta è il ministro uscente della Difesa Lorenzo Guerini, con impeccabili credenziali internazionali - che lo rendono inviso a Conte e M5s - e il silenzioso appoggio del Quirinale, nonchè il benestare di una parte del governo (incluso il suo successore).
Ma alcuni settori del Pd, e della sua stessa corrente, spingono per una scelta più «politica» dell'ex ministro: «Lorenzo sarebbe il candidato perfetto per sconfiggere il centrodestra in Lombardia - dice un dirigente dem - magari in tandem con Moratti».
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