Ora tutti scoprono la povertà. Ma è un'eredità delle crisi degli ultimi anni

Poveri italiani, povere imprese. Censis e Confcooperative dedicano un focus al "Paese da ricucire" e raccontano di un'Italia alle prese con la povertà che si allarga a macchia d'olio

Ora tutti scoprono la povertà. Ma è un'eredità delle crisi degli ultimi anni

Poveri italiani, povere imprese. Censis e Confcooperative dedicano un focus al «Paese da ricucire» e raccontano di un'Italia alle prese con la povertà che si allarga a macchia d'olio, di un disagio sociale dai confini crescenti, dove ai quasi due milioni di famiglie (e 5,6 milioni di persone) in condizioni di povertà assoluta si aggiungono quasi 3 milioni di famiglie (e 8,8 milioni di persone) che tirano avanti in povertà relativa. Un quadro tetro che, per lo studio, travolge anche fasce sociali che pensavano di essere al sicuro, e fotografa una situazione drammatica, con l'11 per cento delle famiglie che ha una spesa per consumi al di sotto della soglia di povertà. Sembra anche un campanello d'allarme per Giorgia Meloni e per il governo che verrà, con la leader di Fdi che era stata già tirata in ballo sul punto da Giuseppe Conte poco prima del voto, quando il leader M5s le aveva rinfacciato un aumento del numero dei poveri mentre era stata al governo, nel periodo 2008/2012.

E non c'è dubbio: usciti dalla pandemia e finiti nella crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina, il momento anche per l'Italia non è dei migliori. Il rischio di un ampliamento dei confini della povertà dovrà essere nell'agenda del prossimo governo. Ma questi numeri raccontano un fenomeno datato nel tempo, le cui responsabilità politiche sono da spalmare su diversi governi precedenti. Per dirne una, il dato dei 5,6 milioni di «poveri assoluti» è lo stesso rilevato dall'Istat per il 2021, confermando la crescita della povertà già registrata nel 2020 con il Covid, con il balzo in avanti dai 4,6 milioni di poveri registrati nel 2019, ultimo anno in cui si era registrata una flessione (-400mila) rispetto ai 5 milioni del 2018. Flessione che M5s rivendicava come effetto ma temporaneo, visto il seguito dell'introduzione del rdc.

Di certo la tendenza è in crescita, iniziata propri negli anni in cui la Meloni era al governo (quando i poveri erano «appena» 2,1 milioni), ma cresciuta esponenzialmente quando erano cambiati gli inquilini a Palazzo Chigi. Insomma, la catena di cause che ha fatto da benzina sul fuoco del disagio sociale non si esaurisce certo con chi era o meno al governo, visto che da allora di esecutivi ce ne sono stati otto: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I e II, Draghi. E nel frattempo anche un paio di crisi finanziarie durature, più quella del 2020 scatenata dalla pandemia, fino alla guerra. Poi ci sono altri elementi ben consolidati che spiegano il rischio di tanti di scivolare nella povertà, come il fatto, ricordano Censis e Confcooperative, che oltre un quinto degli occupati, in Italia, è assunto a tempo determinato, part time, o ha un contratto di collaborazione: una situazione che colpisce soprattutto al Sud e tra i giovani.

Insomma, se «si preannuncia un autunno caldo a cui dare risposte», come dice il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini, va detto che queste risposte sono inevase da tempo. E il rischio è che su una situazione già grave si abbatta anche il costo sociale del caro-energia. Che promette di colpire ancora di più le malcapitate imprese.

Sono 100mila secondo lo studio le imprese a rischio default, con 830mila occupati, e 200mila quelle vulnerabili, con 2,1 milioni di posti di lavoro a rischio. La castagna è rimasta sul fuoco decisamente troppo a lungo e certamente toccherà al prossimo governo - che ovviamente non ce l'ha messa - tentare di toglierla da lì, o almeno provare a raffreddarla.

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