La mamma l'ha ferita due volte. Prima abbandonandola alla nascita, poi negandole quell'aiuto che ora le potrebbe salvare l'esistenza. Daniela, infermiera psichiatrica a Milano, 47 anni passati a chiedersi chi fosse la madre, alla fine l'ha trovata e per necessità.
Aveva bisogno che la donna, in totale anonimato, si rendesse disponibile per un prelievo di sangue necessario a permetterle di accedere a una cura sperimentale, che è la sua unica speranza per guarire dal cancro. Ma si è sentita negare la richiesta. La donna in queste settimane ha fatto appelli su appelli dalle pagine della Provincia di Como. Poi si è rivolta prima agli uffici provinciali e ai giudici del tribunale dei minori. Alla fine la sua mamma biologica è stata individuata, ma non ha accettato di sottoporsi al prelievo.
Daniela è nata il 26 marzo del 1973 all'orfanotrofio delle suore di Rebbio, nel Comasco e qui ha passato i primi due anni di vita. «Io della mia nascita non so quasi nulla - aveva scritto nella prima lettera a febbraio - so la data, so dove sono nata. So che all'epoca c'era una certa suor Seconda, ma mi hanno detto che è morta. Sono stata battezzata in orfanotrofio e registrata come Daniela Simoni. Non so se il mio nome l'abbia scelto mia mamma o le suore, so però che quel giorno nacque anche un maschietto, anche lui abbandonato, al quale misero nome Simone Danieli, il contrario del mio».
Poi è stata adottata da una famiglia milanese, che le ha dato un nuovo cognome, una casa, amore e tutto quello di cui ha bisogno una creatura. Ma tre anni fa le è stato diagnosticato un tumore, un male che sta resistendo alle cure tradizionali. L'unica cosa da fare, secondo i medici, era provare una terapia sperimentale in Svizzera, per la quale è necessario avere la mappa genetica dei genitori. Così l'infermiera ha iniziato le sue ricerche per sapere chi fossero madre e padre.
L'orfanotrofio non c'è più da anni, ma Daniela è riuscita ad avere accesso al suo fascicolo, custodito in Comune, scoprendo che la madre aveva fatto cancellare il nome e la documentazione sanitaria. A quel punto si è rivolta al Tribunale dei Minori, che al Sant'Anna di San Fermo della Battaglia ha fatto emergere gli altri dettagli. Si è arrivati al nome della madre, che oggi ha quasi settant'anni e nel frattempo ha avuto altri figli ed è diventata nonna. Ma si è rifiutata di aiutarla. L'hanno convocata, ma non ha voluto presentarsi e al telefono ha detto che per lei è troppo doloroso ricordare quel periodo della vita. «Una posizione che fatico ad accettare perché mi sembra davvero troppo rigida - spiega Daniela -. Dicono dal Tribunale per i minorenni che è in grado di intendere e di volere, quindi non può esserle imposto nulla, lo so bene. Però una legge che mette il diritto alla privacy di una persona davanti a quello alla vita di un'altra è assurda e sbagliata».
La lettera di Daniela alla mamma mai conosciuta fa chiaramente intendere che, scegliendo di non sottoporsi a quell'indagine, la donna di fatto la condanna a morte.
«Mi chiedo - scrive nella missiva - come tu ti addormenti la sera, come fai a vivere sapendo che hai negato senza possibilità di ripensamento la cosa che ti è stata chiesta: un prelievo di sangue in totale anonimato organizzato secondo le tue regole e la tua volontà, che non andrebbe a cambiare nulla della tua situazione di vita attuale,
perché nessuno saprebbe, e che a me invece consentirebbe di far crescere la mia bambina che ha solo 9 anni e ha il diritto di avere al suo fianco la sua mamma. Rifiutando condanni me e le mie figlie. Condanni una famiglia».
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