Mussolini «visita i lavori di sistemazione del Monte Soratte». Così titolò il Popolo d'Italia il 15 ottobre del 1940. Era un depistaggio. Quei «lavori di sistemazione» erano in realtà le opere di scavo di uno dei luoghi più segreti del regime: il bunker destinato a ospitare i vertici del governo e delle forze armate italiane in caso di emergenza. I mille operai che si facevano strada nella roccia calcarea a forza di mine, non sapevano a cosa servisse quell'immane fatica. E, del resto, nemmeno il Duce immaginava che quella rete di tunnel sarebbe diventata una macchina del tempo in viaggio tra fascismo, Seconda guerra mondiale e Guerra fredda. Un luogo fuori dal mondo, ma a un tiro di cannone da Roma, che ancora oggi custodisce sotto chilometri di roccia i segreti di tre epoche: il regime fascista, l'occupazione nazista e la Repubblica. In quegli antri nascosti, da otto anni un gruppo di volontari lavora per riscoprire le incredibili storie che vi sono sepolte e trasformarle in un museo sotterraneo senza pari. «E le sorprese non finiscono mai», dice Gregory Paolucci presidente dell'associazione Bunker Soratte e anima di questa instancabile ricerca che racconta di amanti e bombardamenti, documenti segreti, un tesoro misterioso, una spia geniale, un omicidio brutale.
Fu il Duce a ordinarlo: serve un grande bunker vicino Roma. Era il 1937 e già l'Europa era attraversata dai tremori che anticipavano il conflitto. Il regime progettò in grande: una città ospitata da oltre 14 chilometri di gallerie, con sistemi di sicurezza in grado, dettava l'ordine, di far sopravvivere la guida del Regno a «una situazione di devastazione generalizzata». Ma quando Mussolini visitò il cantiere l'Italia era già in guerra e quella maledetta, durissima roccia calcarea si era rivelata più ostica del previsto: erano stati scavati poco più di 4 chilometri. Il tempo era finito. E l'ordine fu chiaro: basta scavare, preparate il bunker all'uso.
La struttura sotterranea si snoda in decine di gallerie ed è attrezzata contro attacchi chimici, distruttivi o incendiari. Si vedono tuttora, a distanza regolare, profonde nicchie che ospitavano maschere a ossigeno in caso di attacchi con i gas. In caso di stop alla rete idrica, un ingegnoso sistema di raccolta dell'acqua che filtrava tra le rocce calcaree era stato ricavato nei controsoffitti. Nella rete di gallerie, la più lunga delle quali misura 700 metri, furono costruiti anche 15 ambienti profondi, le «cellule», protetti da strati di roccia di oltre 300 metri, in cui conservare segreti più delicati, scorte più preziose e in cui rifugiarsi in caso di attacco.
Un'opera imponente, ma il regime non arrivò mai a usarla. L'11 settembre 1943, tre gioni dopo l'armistizio, gli abitanti di Sant'Oreste, paesino vicino al bunker che fornì il grosso della manodopera, trovarono affissa un'ordinanza in dieci punti firmata dal feldmaresciallo Albert Kesselring che preannunciava l'occupazione. Pochi giorni dopo, iniziava il trasferimento dell'Oberkommando tedesco per il Sud Europa, capeggiato dallo stesso Kesselring, nei tunnel del Soratte. Ai terrorizzati operai italiani fu imposto di continuare a lavorare nelle gallerie. Ma senza violenze. Kesselring si offrì di pagare gli operai rimasti senza lavoro dopo l'armistizio e, una volta trasferito il comando generale, diede impiego anche a parecchie donne di Sant'Oreste per gestire i servizi necessari, dalle mense alle pulizie. Nei tunnel c'erano sale radio per le comunicazioni, un teatro per alleviare il soggiorno sotterraneo dei soldati tedeschi, diverse sale per gli ufficiali arredate con finte finestre, per cercare di trasformare quegli umidi tunnel in un posto accogliente.
Il rapporto con gli abitanti di Sant'Oreste rimase sempre pacifico e in paese ancora oggi l'associazione raccoglie decine di aneddoti sulla vita in quelle che i santorestesi chiamano «le gallerie dei tedeschi». Tra i «visitatori» dei tunnel si fece notare Ione Robinson, fascinosa amante di Kesselring e pittrice famosa dopo la guerra: fu uccisa nel 1989, in piena Guerra fredda, dopo essere diventata una spia per gli americani.
In paese rimase impressa la figura di un operaio, un omone poderoso, vestito con abiti sdruciti, che girava con una gabbietta per uccellini con cui parlava fitto fitto in una lingua che agli abitanti del luogo sembrava incomprensibile, forse inventata. I santorestesi soprannominarono quel povero svitato «San Francesco». Ma scoprirono la sua vera identità solo alla fine dell'occupazione tedesca, quando l'uomo, sbarbato e in divisa dell'esercito britannico, tornò in paese: era una spia alleata di origini italiane che nascondeva nella gabbietta una ricetrasmittente che usò per segnalare le postazioni di contraerea tedesche sparpagliate su tutta la montagna.
Quelle informazioni consentirono di sferrare agli Alleati un attacco possente, dopo che i partigiani italiani avevano inutilmente tentato di eliminare i tedeschi avvelenando l'acquedotto: il sistema idrico di riserva salvò tutti. Il 12 maggio 1944 gli Alleati fecero levare in volo uno stormo di 237 bombardieri B-17. Le «Flying fortress» furono bloccate dalla nebbia che avvolgeva spesso il Soratte e dovettero riprovare nel pomeriggio. Alle 15 scatenarono un attacco chirurgico (risparmiò Sant'Oreste). Furono sganciate tonnellate di bombe demolitive e incendiarie: lo strato di roccia rendeva inutile un attacco tradizionale. L'unica possibilità era scatenare un incendio talmente violento da risucchiare l'aria dalle gallerie e uccidere i nazisti per soffocamento. Nelle gallerie più esterne crollarono i controsoffitti, ma l'imponente costruzione e i suoi ingegnosi sistemi di sicurezza resistettero: nei tunnel più interni i soldati nazisti e gli operai dell'organizzazione Todt, il braccio ingegneristico del Reich, ebbero pochissime perdite.
A giugno del 1944, con gli Alleati che entravano a Roma, i nazisti smantellarono l'Oberkommand, smontando quel che potevano, inclusi i torni della fabbrica Breda che era stata allestita nelle gallerie, e diedero fuoco al resto. Qualche abitante di Sant'Oreste sfidò le fiamme per recuperare quel che poteva dal comando tedesco.
Si chiudeva un capitolo della storia del Bunker Soratte. Ma non era l'ultimo. Il capitolo più affascinante resta quello che si incastra con la leggendaria storia dell'oro che i tedeschi sottrassero alla Banca d'Italia. Dopo il conflitto, fu recuperato e restituito. Ma i conti tra quantitativi rubati e recuperati non tornano e negli anni i cercatori di tesori si sono scatenati. Il Soratte è diventata una delle mete preferite, perché nella notte tra l'1 e il 2 aprile un convoglio con 18 uomini della Wermacht e 79 casse (censite da un posto di blocco) arrivò a uno degli imbocchi del bunker. I soldati avrebbero scaricato le casse in un tunnel e le SS li avrebbero poi fucilati e sepolti nel tunnel sigillato facendo esplodere la roccia. Tutti e diciotto tranne uno: il soldato Willy Vogt che, ferito, riuscì a scappare tra le macerie e venne salvato da una coppia della zona. Nel 1948, a guerra finita, Vogt tornò a ringraziare i suoi salvatori e rimase per qualche giorno per «fare ricerche sul Soratte». Durante il soggiorno, una cappella alla base della montagna fu trovata dissacrata, a terra pezzi di una cassa di fattura militare. I carabinieri indagarono e andarono a casa di Vogt, ma lo trovarono morto, con il corpo straziato. Le casse non sono mai state ritrovate.
Nel 1965 ci fu una nuova svolta per il bunker che, ormai abbandonato, ma in mano al demanio militare, custodiva i suoi segreti dimenticati. Finché il governo italiano, guidato da Aldo Moro, decise che quelle gallerie erano il posto ideale per il bunker antiatomico di cui, nel pieno della minaccia nucleare tra Usa e Urss, la Nato chiedeva di dotarsi per ospitare governo e presidente della Repubblica. Fu avviata la ristrutturazione di sei gallerie, rinforzandole in modo da resistere all'esplosione di una Tsar Bomba, l'ordigno termonucleare sovietico da 50 megatoni, 3.125 volte più potente delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. L'associazione ha ricostruito le sale tattiche da cui il governo avrebbe seguito la situazione, vivendo sotto la possente volta di cemento armato tuttora visibile, così come il portone blindato che chiudeva uno degli accessi. La struttura, per fortuna, non servì mai al suo scopo originale.
Ma, sarebbe stata usata per esercitazioni della famosa rete «Stay behind», meglio nota come Gladio. «Molti documenti sono ancora coperti da segreto di Stato -dice Paolucci - Noi andiamo avanti, ci sono altri due chilometri di tunnel da esplorare. Chissà cosa ci riserva ancora il bunker».
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