Due fratelli. Stessi genitori, stessa casa, stesse cose. Due fratelli cresciuti avvolti in uguali discorsi, odori, sapori, umori. Due fratelli partiti uguali e finiti diversi. Bianco e nero, gioia e dolore, vita e morte. Dà i brividi la tragica e dolorosa verità nascosta nelle maglie della vita. Due fratelli che spesso salutavano genitori e famiglia per assentarsi a lungo, chi andando da una parte, chi dall'altra.
Due giovani che si assentavano giorni che diventavano settimane in un susseguirsi di andate e ritorno. Solo che poi uno di loro non è più tornato.
I fratelli Laachraoui sono una tragica storia vera che, forse, in questi giorni in cui piombiamo di nuovo nel terrore, porta con sé un messaggio a cui sarebbe il caso di aggrapparci con tutte le forze o, almeno, far finta di credere. Che lo sport possa salvare. Che lo sport possa aiutare. Che lo sport, soprattutto quando si vive l'età debole e fuorviante della giovinezza, riesca a indicare una via.
Perché Mourad Laachraoui, che spesso era via di casa per gli allenamenti collegiali della sua squadra, l'altra sera ha vinto la medaglia d'oro agli europei di Montreux, categoria 54 chili e fra neppure tre mesi sarà a Rio per difendere l'onore del suo Belgio. Perché Najim, che spesso era via di casa per unirsi ai fanatici della jihad, in marzo ha portato al Belgio e al mondo morte e disperazione facendosi esplodere nell'aeroporto di Bruxelles. E perché il pensiero corre ad altri tragici fratelli: ai ceceni Dzochar e Tamerlan Carnaev, gli attentatori alla maratona di Boston nell'aprile 2013; ai fratelli Kouachi killer di Charlie Hebdo.
E allora lasciamo libera la speranza, chiamiamola
illusione, che lo spartiacque fra l'oro di Mourad e la tragedia di Najim e di quegli altri fratelli disperati possa essere stato proprio lo sport. Crederlo è gratis. Indica una via. Dà conforto. E ne abbiamo tanto bisogno.
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