L'islam integralista e assassino dell'Isis dichiara guerra anche al Giappone. Di fronte al risoluto rifiuto del governo di Tokio di piegarsi al ricatto dei terroristi («pagate 200 milioni di dollari o uccideremo i vostri due ostaggi») il tragico destino di Haruna Yukawa, il quarantaduenne contractor che in circostanze ancora poco chiare sembra che avesse cercato di salvare il suo connazionale giornalista Kenji Goto Jogo, si è compiuto. Un raccapricciante video ha mostrato l'ormai consueta scena (è la sesta volta che accade dallo scorso 19 agosto quando venne ucciso così l'americano James Foley) dello sgozzamento in diretta dell'uomo vestito di una tuta arancione, simile a quelle dei terroristi tenuti prigionieri nella prigione di Guantanamo dagli americani.
I tagliagole non si sono limitati a questo. Hanno anche diffuso un altro filmato che mostra Jogo reggere una foto tratta dal video dell'assassinio del suo compagno di sventura e dichiarare che «entro due ore toccherà a me» se le richieste dell'Isis non saranno soddisfatte. Il cosiddetto Stato Islamico, nel frattempo, ha modificato le sue pretese. Prendendo forse atto della risolutezza del premier giapponese Shinzo Abe (che ha definito il video «oltraggioso e inaccettabile» e ha dichiarato «non cederemo mai»), ha chiesto al posto dell'iperbolico riscatto in dollari la liberazione di Sajida Rishwai, una donna irachena condannata a morte in Giordania per il suo ruolo in un attacco kamikaze avvenuto ad Amman nel 2005 in cui rimasero uccise oltre 60 persone. Una richiesta che ha però ben poco di realistico.
Anche la sorte di Kenji Goto Jogo, il giornalista freelance di 47 anni del quale la madre aveva dignitosamente chiesto il rilascio assicurando che «non è un nemico dello Stato Islamico ed è un uomo buono», appare dunque segnata. Il governo del Giappone intende infatti rimanere fedele alla sua linea dell'intransigenza: il premier Abe ha chiesto l'«immediata liberazione» di Goto, ma senza condizioni e sottolineando l'«imperdonabile atto di violenza». In questi termini, la vita dell'ostaggio rimane appesa a un filo sottilissimo.
Mentre si attendono con poche speranze sviluppi positivi di questa tragica vicenda, la guerra scatenata dall'Isis in Medio Oriente continua su diversi fronti. Le forze curde hanno lanciato 20 missili Grad su Mosul, la grande città nel nord dell'Iraq caduta nelle mani dei fedeli del «califfo» al-Baghdadi nello scorso giugno, per la prima volta da quando i militanti dello Stato islamico ne hanno preso il controllo. Fonti militari curde spiegano che i razzi sono stati lanciati dopo avere ricevuto informazioni secondo le quali i militanti si stavano radunando per incontrarsi nei pressi del quartiere Zuhour della città. Sembra però che ci siano stati anche alcuni feriti tra i civili: è proprio per evitare questo rischio che finora i peshmerga curdi si erano astenuti dal colpire la città. I Peshmerga hanno preso il controllo del raccordo di Kiske nella regione di Ninive, nel nord dell'Iraq, tagliando le vie di rifornimento dell'Isis tra Mosul, Tal Afar, Sinjar e il confine con la Siria, avanzando a sud-ovest della diga di Mosul per riconquistare aree sotto il controllo dei miliziani jihadisti.
Scontri anche in territorio libanese, vicino al confine con la Siria.
Almeno sette soldati libanesi e 35 jihadisti sono morti nella zona di Ras Baalbeck. Tra gli estremisti morti negli scontri ci sono un comandante militare dello Stato islamico, Al Ahwazi, e altri responsabili dello stesso gruppo terroristico, cioè Ghayath Yomaa e Abu al Walid al Ansari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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