Non è più solo «contro ignoti» l'inchiesta della Procura di Bergamo sull'impatto devastante del Covid-19 in Val Seriana. Ieri gli inquirenti confermano che ci sono i primi indagati. I nomi non vengono resi noti ufficialmente, ma nel mirino del procuratore aggiunto Maria Cristina Rota e del suo pool ci sarebbero i vertici tecnici della Regione Lombardia e della sanità locale. Tanto che il difensore di Luigi Cajazzo, che all'epoca della catastrofe era direttore generale in Regione, rilascia una dichiarazione in cui nega di avere ricevuto una informazione di garanzia. Ma se davvero questa fosse la strada presa dall'inchiesta allora si capirebbero meglio i motivi che la settimana scorsa hanno portato l'assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera e il presidente Attilio Fontana a destituire d'urgenza Cajazzo, rimpiazzandolo con Marco Trivelli. Un modo per segnare la discontinuità della gestione e anche per attutire l'impatto mediatico di un eventuale incriminazione del manager.
Cajazzo era stato interrogato dalla Rota come «persona informata sui fatti», e nella stessa tornata erano stati sentiti - anch'essi in veste di testimoni - il capo dell'Asst di Seriate, competente per territorio su Alzano e Nembro, i comuni più investiti dall'epidemia, e il direttore sanitario della stessa azienda, Roberto Cosentina. Ed è proprio su questi ultimi che Cajazzo ha scaricato la responsabilità di chiudere o tenere aperto l'ospedale di Alzano: «in ogni caso - dice ieri il suo legale, Fabrizio Ventimiglia - il dg della Lombardia non ha il potere di aprire o chiudere l'ospedale. È il direttore sanitario che lo decide e poi lo comunica alla direzione generale. Quando è stato sentito come testimone ha chiarito tutto, non c'è bisogno di indagarlo».
Agli inquisiti la Procura contesta il reato di omicidio colposo plurimo, per avere con i loro comportamenti causato la morte di un numero imprecisato di pazienti, contagiati dal virus nei giorni in cui in zona regnava il caos più totale, con l'ospedale prima chiuso d'autorità e poi riaperto. É uno dei punti su cui insistono maggiormente le denunce presentate nei giorni scorsi dai familiari di una cinquantina di vittime del coronavirus, che lamentano la lentezza nel predisporre le misure di contenimento dell'epidemia. Lentezze che ora sono sotto gli occhi di tutti ma che non sarà facile tradurre in un processo penale: perché per portare Cajazzo o altri sul banco degli imputati serve individuare con nome e cognome le vittime dell'inefficienza, dimostrando per ognuna di essere che se le cose fossero andate diversamente non avrebbe contratto il coronavirus. Una prova quasi impossibile da raggiungere.
Nel frattempo, la direzione presa dall'indagine appare comunque puntare più sulle responsabilità tecniche e
amministrative che sulle scelte politiche compiute ai piani superiori: tanto a livello regionale, da parte di Fontana e Gallera, quanto a Roma, da parte del premier Giuseppe Conte e dai ministri interrogati venerdì scorso come testimoni.
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