Ospedali e rischio contagi. La regola delle "due zone"

Il Covid si può ancora annidare negli ospedali? Purtroppo sì visto che ogni paziente prima del ricovero deve firmare una liberatoria dove accetta un eventuale contagio accidentale del virus in qualsiasi reparto

Medici in corsia contro il Covid (La Presse)
Medici in corsia contro il Covid (La Presse)

Il Covid si può ancora annidare negli ospedali? Purtroppo sì visto che ogni paziente prima del ricovero deve firmare una liberatoria dove accetta un eventuale contagio accidentale del virus in qualsiasi reparto. I medici lo chiamano in gergo il «Patto Covid». Premettiamo che dopo il lockdown si è fatta tanta strada nella prevenzione. I pronto soccorso si sono attrezzati a minimizzare i rischi. Medici e infermieri accolgono i pazienti con mascherine FFp2 guanti e pure visiere; un sospetto viene immediatamente trasferito nella cosiddetta zona grigia per il canonico tampone. Ma attualmente non è così facile individuare anche lievi sintomi. Oggi circolano tanti asintomatici che si presentano in ospedale con le urgenze più disparate. E un calo di attenzione può costare molto caro. «Il virus è ormai endemico e con tanti asintomatici in giro c'è un rischio di diffusione non azzerabile anche se riducibile - ammette Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell'ospedale Galeazzi di Milano - è importante che in ogni ospedale si rispettino con rigore i protocolli di sicurezza».

La zona più delicata da gestire sono le sale di attesa dei pronti soccorso. Lì si deve rispettare distanziamento, indossare correttamente le mascherine chirurgiche, igienizzarsi le mani. Qualche furbo che aggira i divieti scappa sempre. E in quel caso, se l'irriducibile è un asintomatico, sono dolori per tutti. I reparti Covid, invece, sono ormai blindati. Gli ospedalieri sono bardati con tute antiebola, totalmente sigillate e la sicurezza in generale è garantita. L'anello debole del sistema si concentra nel momento della svestizione degli operatori. Che seguono corsi ad hoc per fare tutto in regola. Ma ci sono anche contagiati dal virus che vengono curati fuori dai reparti Covid. Come nel caso di Briatore, finito nel reparto solventi. Come mai? La sua suite ospedaliera è dannosa solo al suo portafogli? La collocazione al di fuori del settore infettivo non rischia di creare problemi agli altri pazienti?

Il comunicato dell'ospedale San Raffaele lo esclude in modo categorico. «Al signor Briatore è stato applicato il protocollo standard che prevede l'isolamento e l'utilizzo dei dispositivi di protezioni individuale necessari in caso di positività, sia per la sicurezza del paziente, sia per la tutela del personale di reparto e degli altri pazienti ricoverati». In pratica l'organizzazione è questa. Se il paziente solvente (e Briatore non ha l'assistenza sanitaria perché è cittadino monegasco) è infetto, viene ricoverato in una camera ibrida, con pressione di ventilazione negativa dotata di un ricircolo di area interna che non consente di far uscire germi. La camera, inoltre, è separata dal resto del reparto da una porta. Accanto alla stanza, sono allestite due aree distinte, dette «zona pulita e zona sporca»: la prima è dedicata alla vestizione di medici e infermieri che si turnano per l'assistenza. Nella zona sporca, invece, ci si libera delle tute, calzari, guanti, mascherine e visiere e si raccolgono nel sacco giallo dei rifiuti contaminati. Il personale Covid, inoltre, non lavora mai negli altri reparti non infettivi: resta distante dai colleghi con cui non c'è rischio che si incroci durante e dopo le ore di lavoro.

E con questa rigida gestione, il malato infetto e solvente è separato dal resto del mondo. Insomma, sintetizza Pregliasco: «Non è difficile creare un'area isolata anche se non è dedicata al Covid, basta che ci siano spazi, attrezzature e personale a disposizione. È solo tutto molto dispendioso».

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