La campagna elettorale per il voto al referendum costituzionale è ormai entrata nel vivo. La data fissata il 4 dicembre è ancora molto lontana (per la prima volta nella storia della Repubblica si voterà a dicembre), ma il dibattito è già acceso. Anche sulla stessa scelta del giorno del voto: lo spostamento in avanti ha visto molti accusare il presidente del Consiglio Renzi di avere prolungato troppo la campagna elettorale per favorire il Sì. E anche la formulazione del quesito ha suscitato discussioni, in quanto, secondo le opposizioni, pure esso avvantaggerebbe il voto a favore della riforma. Ma la gran parte del dibattito avviene nel merito di quest'ultima. Anche se, per la verità, molti italiani non sembrano padroneggiare a fondo i contenuti della proposta (le argomentazioni sono spesso dense di tecnicismi e richiedono approfondimenti) e interpretano sin qui il voto per lo più come un pronunciamento favorevole o contrario al governo e, in particolare, a Matteo Renzi.
Fare previsioni sull'esito della consultazione è oggi assai problematico. Gli esiti di buona parte dei sondaggi condotti sino a questo momento sembrano suggerire una prevalenza dei No, accreditati dal 52% al 55%, a seconda delle rilevazioni. E, peraltro, anche le ricerche che vedono, invece, una prevalenza dei Sì, rilevano una progressiva diminuzione di questi ultimi. Ma la grande quantità di indecisi tuttora presente (dal 30% al 40%) e l'incognita dell'affluenza alle urne (reputata oggi tra il 50% e il 60%) costringono ad effettuare le stime su una porzione relativamente limitata dei campioni intervistati, ciò comporta un significativo margine di errore statistico e, specialmente, una potenziale grande variabilità dei risultati. Insomma, il risultato pare tutt'altro che consolidato.
Ma già si pensa al dopo referendum. Come si è detto, il presidente del Consiglio ha inizialmente preannunciato le sue dimissioni in caso di una sconfitta. Poi ha rivisto questa sua affermazione: impostare una consultazione ad personam appare infatti potenzialmente assai pericoloso, in quanto la popolarità di Renzi è andata calando in questi mesi (il trend è iniziato già prima dell'estate), in corrispondenza al crescere tra gli italiani delle valutazioni pessimistiche sulla situazione economica del Paese. Non a caso, proprio nelle ultime settimane, il presidente del Consiglio ha incentrato buona parte della sua comunicazione su temi diversi, che non toccano direttamente la sfera dell'economia (il cui declino, percepito dai cittadini, rappresenta la motivazione principale del calo di consensi), per incentrarla invece su problematiche che più facilmente possono portare popolarità: la polemica con le istituzioni europee, il progetto di costruzione del ponte sullo stretto e la riforma delle pensioni.
Resta in ogni modo aperto il quesito di cui si è detto sopra: se vincessero i No, Renzi si deve dimettere? I pareri espressi al riguardo da commentatori e osservatori sono discordi. C'è chi sostiene che questa sarebbe una scelta dovuta e inevitabile. C'è chi, anche tra gli esponenti dei partiti di opposizione, reputa al contrario che andrebbe comunque garantita la continuità nell'azione governativa, magari procedendo ad una revisione profonda della legge elettorale (che non è oggetto del referendum, ma che è di fatto strettamente collegata).
Che cosa ne pensano gli italiani? Secondo un sondaggio recente (effettuato nei primi giorni di questa settimana dall'istituto Eumetra Monterosa, intervistando un campione rappresentativo della popolazione al di sopra dei 17 anni di età), la maggioranza (55%) degli intervistati appare propensa a richiedere le dimissioni del presidente del Consiglio in caso di sconfitta al referendum.
Sono nettamente più favorevoli a richiedere le dimissioni del presidente del Consiglio in caso di sconfitta al referendum i più giovani di età (specie i 18-24enni, che costituiscono anche la generazione più decisamente schierata sino a questo momento per il voto No al referendum), i possessori dei titoli di studio più elevati (specie i laureati), gli imprenditori e i liberi professionisti (oltre che gli studenti).
Ma le differenziazioni più significative si registrano naturalmente in relazione alla preferenza di partito. La netta maggioranza degli elettori di Forza Italia (76%) si schiera per l'allontanamento di Renzi se prevalessero i No. Una minoranza non trascurabile (quasi uno su cinque, il 18%), tuttavia, è di parere opposto. Richiedono più decisamente le dimissioni i votanti per la Lega Nord (84%) e, in misura ancora maggiore (91%), quelli per il Movimento Cinque Stelle. Sul fronte opposto, com'era altrettanto scontato, la gran parte (79%) degli elettori del Pd si pronuncia per la prosecuzione in ogni caso del governo in carica.
È significativo che più di metà (51%) di quanti si dichiarano invece incerti sul partito da scegliere in caso di elezioni o intenzionati ad astenersi, auspichi l'allontanamento di Renzi in caso di una sua sconfitta al referendum. Solitamente i non votanti o gli indecisi tendono a non pronunciarsi su questioni politiche. Ma in questo caso, l'atteggiamento ostile verso il presidente del Consiglio (già rilevato tra costoro in altri sondaggi) appare prevalere.
Nell'insieme, dunque, gran parte della popolazione vuole le dimissioni di Renzi in caso di prevalenza del No. Ciò non significa che il premier debba necessariamente lasciare il proprio posto se il Sì risultasse sconfitto.
Ma mostra, con tutta evidenza, il perdurare del fenomeno della «personalizzazione» della consultazione, malgrado il tentativo di Renzi di attenuarne l'impatto. Il voto referendario continua a essere interpretato come un giudizio popolare sull'operato del presidente del Consiglio. Che, come mostrano i sondaggi, viene giudicato sempre meno positivamente dai cittadini.
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