Paese spaccato dalla voglia di più autonomia

Un italiano su due scettico sul regionalismo. I dem i più centralisti

I risultati dei referendum in Lombardia e Veneto hanno messo in luce l'esistenza di una «voglia» di maggiore autonomia da una parte consistente della popolazione di queste due regioni. Tanto che, sulla spinta del voto popolare, i presidenti di queste ultime, assieme al presidente dell'Emilia Romagna hanno già avanzato al governo alcune ipotesi di ampliamento dei poteri, secondo quanto previsto dall'art.116 della Costituzione (introdotto, come si sa nell'ambito della controversa riforma del titolo V) che prevede «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia».

Ci si può però domandare se e in che misura l'ambizione ad una maggiore autonomia espressa da una ampia parte della popolazione veneta e (in misura significativamente minore) da quella lombarda si trovi anche nel resto del territorio nazionale. Siamo di fronte, in altre parole, ad un desiderio di autonomia regionale esteso a tutto il paese?

Un sondaggio condotto dall'Istituto Eumetra Monterosa, intervistando un campione rappresentativo dei residenti nel nostro paese con più di 17 anni di età, risponde a questo quesito e offre un quadro aggiornato degli orientamenti degli italiani riguardo all'autonomia regionale. Che si presenta contraddittorio e, specialmente, variegato su base territoriale e sociale.

Da un verso emerge come la propensione verso una più ampia autonomia e maggiori poteri per la propria regione sia molto diffusa. Il 44% - dunque quasi la metà degli intervistati a livello nazionale si pronuncia in questo senso. Si tratta soprattutto di giovani (ma non giovanissimi, in età dai 25 ai 34 anni) e possessori di titoli di studio medio-alti. Specie se residenti nei grandi centri sopra i 100.000 abitanti.

E, com'era prevedibile, questa opinione («vorrei che la mia regione avesse maggiore autonomia») è più diffusa nel Nord-Est del Paese. Dal punto di vista dell'orientamento politico, si registra una ovvia accentuazione di questa risposta tra gli elettori della Lega Nord, ma anche nella stessa misura tra quelli di Forza Italia. E, sia pure con intensità lievemente minore, tra i seguaci del Movimento 5 Stelle.

Se a costoro aggiungiamo i pochi che ambiscono addirittura all'«indipendenza dall'Italia» della loro regione (2%), possiamo stimare nel 46% la componente dell'elettorato più o meno intensamente «autonomistica».

Ad essa si contrappone però una quota ampia di popolazione (31%) che non vuole un incremento di autonomia per la propria regione e suggerisce invece di «lasciare le cose come stanno». Il profilo sociale è completamente diverso: si tratta in questo caso in misura maggiore di persone più anziane, con un titolo di studio medio-basso, tra cui si annoverano molte casalinghe. Ma il connotato più rilevante è quello dell'intenzione di voto. È qui infatti che si concentrano più che proporzionalmente gli elettori del Pd. In altre parole, tra questi ultimi prevale piuttosto nettamente una linea che potremmo definire «conservatrice» rispetto a quella che opta per una più accentata autonomia regionale.

Ma tra gli intervistati ci sono anche i delusi da quello che considerano un eccesso di poteri concesso sin qui alle regioni, specie dopo la riforma del Titolo V. Non sono pochi: la pensa così oltre un italiano su cinque (23%), con una significativa maggior presenza tra i giovanissimi sotto i 25 anni, specie se in condizione lavorativa e una accentuazione di risposte di questo genere nelle regioni meridionali.

Se sommiamo queste ultime due categorie, troviamo ciò che costituirà una sorpresa per alcuni che, sebbene vi sia nel paese una forte corrente che auspica una più marcata autonomia per la propria regione (che abbiamo stimato nel 46%), una quota di popolazione ancora più vasta (54%) non appare convinta di questa ipotesi e dichiara di preferire un mantenimento della situazione attuale, se non una diminuzione dei poteri assegnati alle regioni. Gli elettori italiani appaiono dunque divisi in due tronconi con visioni opposte e con differenti connotati sociali e territoriali.

Questo quadro, solo in parte inneggiante all'autonomia regionale, è peraltro confermato dai risultati di un altro quesito posto all'interno del medesimo sondaggio, in cui la questione è stata in qualche misura «stressata». Infatti, di fronte all'alternativa se sia preferibile un paese «con tante regioni autonome, lasciando pochi poteri allo stato centrale» o «uno stato centrale che gestisca in modo coordinato, con meno poteri alle regioni» troviamo nuovamente il campione ripartito in due tronconi. Con la maggioranza degli intervistati (53%) che si pronuncia per la seconda ipotesi e una quota di gran lunga minore (35%) che opta per quella più decisamente «autonomistica», mentre il restante 12% non sa o non vuole esprimere un'opinione. Con differenziazioni analoghe a quelle già sottolineate: un connotato sociale più elevato e una maggiore presenza al Nord (specie nel Nordest) tra chi dà la risposta più «autonomistica» e un profilo opposto tra chi opta per una più rilevante presenza dello stato centrale.

Rispetto ad un sondaggio simile condotto qualche settimana fa, prima del referendum, possiamo rilevare una crescita delle posizioni avverse ad una maggiore autonomia regionale, specialmente al Sud. Come se l'esito referendario avesse «spaventato» una parte della popolazione.

In definitiva, questi dati mostrano come la

questione della concessione di maggiori poteri alle regioni «spacchi» in due fazioni opposte tra loro l'elettorato del nostro paese. Un'altra frattura sociale che la prossima legislatura dovrà necessariamente affrontare.

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