Crisi senza fine dell'industria e disoccupazione in aumento nonostante la cassa-Covid. Questa è l'eredità, segnala l'Istat, che la pandemia di Coronavirus lascia al futuro governo Draghi. Ieri l'istituto di statistica ha diffuso la nota mensile, nella quale si evidenzia che il mercato del lavoro ha registrato «diffusi segnali negativi» con un calo congiunturale dell'occupazione a dicembre (-0,4%, -101mila unità), un aumento del tasso di disoccupazione (+1,5 punti percentuali, +34mila unità) e di quello d'inattività (+0,3 punti percentuali, +42mila unità), interrompendo la fase di recupero dei mesi precedenti.
Le forze di lavoro hanno segnato un calo di 596mila unità, con un contributo negativo sia degli occupati (-432mila unità) sia dei disoccupati (-164mila unità) che si è tradotta pure in un aumento degli inattivi (+429mila unità). Numeri che sicuramente indurranno i sindacati oggi a ribadire che è necessario un prolungamento generalizzato dello stop ai licenziamenti, visto che le misure intraprese dal governo Conte non hanno frenato la prevista emorragia occupazionale.
Il 2020, inoltre, si è chiuso con una diminuzione della produzione industriale rispetto all'anno precedente dell'11,4%, il secondo peggior risultato dall'inizio della serie storica (che parte dal 1990), dopo la caduta registrata nel 2009. La flessione, spiega l'istituto di statistica, è estesa a tutti i principali raggruppamenti di industrie e, nel caso dei beni di consumo, è la più ampia mai registrata. «Il progressivo recupero dopo il crollo di marzo e aprile ha subito una battuta d'arresto nei mesi recenti, impedendo il ritorno ai livelli produttivi precedenti l'emergenza: nella media del quarto trimestre l'indice destagionalizzato è ancora inferiore del 3,1% rispetto a febbraio 2020», ha commentato l'Istat. Preoccupato il Centro studi Promotor.
«Rispetto al 2007, la produzione industriale italiana nel 2020 ha accusato un calo del 21,6%. Questi dati confermano - commenta - che nei Recovery Plan particolare attenzione dovranno avere i provvedimenti per sostenere l'attività industriale che da troppi anni sta marciando a tre cilindri».
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