C'è chi proprio non riesce ad accettare il voto e parla di "pagina nera per la democrazia". C'è poi chi si dispera e si lascia andare alle lacrime in diretta radio. E ancora: c'è chi passa direttamente agli insulti affibbiando biechi aggettivi a chi ha votato contro il ddl Zan. Eppure sarebbe bastato davvero poco per evitare l'ennesimo psicodramma piddì: anziché andare al muro contro muro, Enrico Letta avrebbe potuto accettare la mediazione e scendere a patti con chi gli chiedeva di ritoccare alcuni articoli della legge. Non ha voluto farlo e nel segreto dell'urna si è preso una tranvata in faccia. Fa parte del gioco: è la democrazia. Ma quando il voto non coincide con i desiderata della sinistra, ecco i progressisti gridare al colpo di Stato.
Incassata la sconfitta, in casa dem hanno subito spianato i fucili contro Matteo Renzi. Lo accusano di "gravi complicità" con "la destra peggiore, che vuole allontanarci dall'Europa e avvicinarci alla Polonia". "La maggioranza che aveva mediato e votato questo testo alla Camera non c'è stata al Senato - tuona il vicesegretario del Pd Peppe Provenzano - e a sottrarsi in questi mesi è stata Italia Viva". Ci va giù ancora più duramente Vladimir Luxuria sottolineando la missione dell'ex rottamatore in Arabia Saudita, "dove gay lesbiche e trans sono incarcerati e fustigati", nel giorno dello stop al disegno di legge. Non è l'unica a strumentalizzare. La narrazione della sinistra è appiattita sulla linea dettata dal segretario piddino. "Oggi gli italiani hanno visto cosa sarebbe l'Italia governata a maggioranza da queste destre", sbotta Letta. Sono tutti quanti infuriati, ma nessuno di loro è disposto a contare i franchi tiratori che si ritrovano in casa. Non è facile spiegare i 24 voti di scarto con cui è stato affondato il ddl Zan. Le voci di corridoio parlano di sette ribelli dem e di un nutrito gruppo di grillini malpancisti. Che fare con loro? Meglio prendersela con gli avversari.
Così, incapace di riconoscere i propri errori, dopo aver gettato fango sui "vigliacchi traditori" (copyright Michele Emiliano), la sinistra si è messa a gettare fiele sulla sistema democratico. "È una pagina nera per la democrazia e i diritti", lamenta Alessandro Zan, padre della contestata legge. Stefania Pezzopane e Alessia Rotta gli sono andate dietro a ruota libera. "È una pagina buia", dicono. Valeria Fedeli si mette a piangere al telefono con Un giorno da pecora. Da ambienti grillini arriva addirittura l'accusa di "sabotaggio". Contro chi ha votato a favore della "tagliola", si scaglia Laura Boldrini: accusa tutti quanti di essere "omofobi e odiatori" e parla di "destra retrograda e illiberale". È un profluvio di insulti. Dentro e fuori dal parlamento. Persino Chiara Ferragni si getta nella mischia. "Pagliacci senza palle", urla dal suo profilo Instagram. Sembra di stare in un girone dell'inferno. Nessuno che riesca ad accettare il voto. "Serve una classe dirigente migliore...", rincara la dose Zan che guarda già alle prossime elezioni.
Che la "tagliola" non solo sarebbe stata concessa ma sarebbe anche passata a mani basse, era nell'aria. Letta e compagni lo sapevano. Ma, come fa notare Roberto Calderoli in una intervista al Corriere della Sera, "hanno fatto come quello che si aspetta di avere il paracadute e invece ha preso uno zaino, pieno di lattine di carne in scatola. Perché si può anche andare sotto di uno o due voti... ma qui sono stati 23". La sconfitta, insomma, è stata ben più pesante di quanto non si preventivasse. E, forse, è anche per questo che ai dem brucia tanto.
O, più semplicemente, gli brucia perché non sono riusciti a imporre a tutto il Paese una legge dai più considerata illiberale e liberticida. E così, in un assurdo cortocircuito, non gli resta che sparare a zero contro il voto del parlamento, essenza stessa della democrazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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