Palamara ora sfida il giudizio del "sistema". L'ultima battaglia si giocherà in Cassazione

L'ex presidente dell'Anm non vuole essere l'unico a pagare e presenta ricorso all'alta corte. La difesa: troppo rapidi i tempi del processo e giudici prevenuti

Palamara ora sfida il giudizio del "sistema". L'ultima battaglia si giocherà in Cassazione

Un procedimento flash, una decisione rapidissima arrivata dopo appena due ore di camera di consiglio: così l'ex presidente dell'Anm Luca Palamara, a ottobre scorso, è stato fatto fuori dalla magistratura. Impietoso il verdetto della sezione disciplinare del Csm: radiato, per aver tentato di condizionare il Csm di cui faceva parte attraverso «una indebita manipolazione dei meccanismi decisionali istituzionali», e «in maniera occulta», al fine di orientare a tavolino le nomine di molti importanti uffici giudiziari.

Ma il grande accusatore del sistema non ci sta ad accettare di passare per capro espiatorio e unico responsabile dei mali della magistratura. Rivendica di essere stato appunto solo un ingranaggio di un sistema fondato sulle correnti e che agiva secondo logiche spartitorie, prescindendo da lui e dalle sue azioni, semplicemente adeguate a quell'andazzo. E dunque, come aveva già annunciato al momento della radiazione, sceglie di battagliare, presentando ricorso in Cassazione, tramite il suo legale Roberto Rampioni, contro la decisione di Palazzo dei Marescialli.

Il Sistema

Ieri l'avvocato ha depositato una memoria di circa novanta pagine, e con molti allegati, nella quale si argomentano almeno otto motivi di ricorso per cancellare quella decisione e restituire la toga a Palamara. Che, nel dossier, lamenta, per cominciare la scelta del Csm di assimilare il suo illecito disciplinare all'incidente stradale commesso da un tassista in servizio: un paragone che secondo Palamara e il suo avvocato è improbabile oltre che «contrario ai più elementari principi di logica giuridica». Poi, appunto, nel mirino finisce il processo a tappe forzate che ha portato alla sua radiazione. Ricordando, nella memoria, che a luglio lo stesso presidente della sezione disciplinare aveva ipotizzato un calendario di udienze sette in programma - dall'estate a dicembre. Mentre il procedimento si è svolto tra settembre e ottobre, in meno di 30 giorni. Insomma, «tempi troppo rapidi», per la sua difesa, incompatibili con un giusto processo. Come si ricorderà, a imprimere un'accelerazione al procedimento contro Palamara era stata anche l'approssimarsi della pensione di Piercamillo Davigo, componente del collegio, che ha compiuto 70 anni il 20 ottobre. E proprio su Davigo si concentra il dossier del ricorso di Palamara, ricordando di aver chiesto invano - la ricusazione dell'ex pm di Mani Pulite, che era stato citato come teste a discarico dallo stesso ex presidente Anm e che, sempre secondo la difesa di Palamara, aveva incontrato a pranzo a febbraio 2019 l'ex pm romano Stefano Fava che aveva presentato un esposto alla prima commissione del Csm contro il procuratore capo di Roma Pignatone e l'aggiunto Ielo.

Quei colloqui, ribadisce ora la memoria difensiva, potrebbero aver influenzato il giudizio di Davigo su Palamara e avrebbero dovuto spingere l'ex pm ora in pensione ad astenersi. Tra gli altri punti contestati, oltre all'utilizzazione delle celebri intercettazioni dell'hotel Champagne, nonostante la presenza dei due parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri, anche la mancata ammissione della stragrande parte dei testimoni chiamati dalla difesa.

Nel procedimento di fronte al Csm che portò alla sua radiazione, ne furono stoppati 124 su 130: una circostanza che, secondo Palamara e il suo avvocato, costituirebbe una violazione della normativa della Corte europea dei diritti dell'uomo sul giusto processo.

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