Il cinque maggio: titolo dell'ode scritta da Alessandro Manzoni in occasione della morte di Napoleone Bonaparte. Da ieri è anche la data storica che ha sancito ufficialmente la fine dell'emergenza sanitaria globale del Covid-19. La fine di incubo collettivo che ha paralizzato il pianeta per tre lunghi anni. Il virus, che ha fatto 190mila morti in Italia, 20 milioni di vittime in tutto il mondo è ora diventato endemico, non fa più paura. Neppure all'Oms, che ha chiuso lo stato di allerta permanente e ha spiegato al mondo che bisogna guardare avanti. E considerare il virus non più come qualcosa di sconosciuto, inaspettato, imprevedibile, ma come una malattia destinata a durare così come l'influenza. Da non sottovalutare. Tanto è vero che Marco Cavaleri, responsabile dei vaccini di Ema, interviene da Seattle dove si parla di antivirali: «L'emergenza è finita ma il virus può rappresentare ancora una minaccia. Penso agli oncologici, agli anziani e ai fragili. Per loro ci sarà un vaccino aggiornato in autunno, accanto a quello per il virus respiratorio sinciziale che causa pericolose bronchioliti».
Ma l'avvertenza non deve guastare la festa. «È con grande speranza che dichiaro che Covid-19 è finita come un'emergenza sanitaria globale», dichiara il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus durante la conferenza stampa da Ginevra. Ma l'euforia finisce qui. La pandemia non è finita. «Resta il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare nuove ondate di casi e morti ammonisce il direttore -. La cosa peggiore che i paesi possano fare ora è usare questa notizia per abbassare la guardia, per lanciare alla gente il messaggio che il Covid non è più qualcosa di cui preoccuparsi». Invece non così. «Mentre noi parliamo - ha aggiunto Ghebreyesus - migliaia di persone nel mondo stanno lottando per le loro vite nelle terapie intensive e milioni continuano a vivere con gli effetti debilitanti della condizione post-Covid. Il virus è qui per rimanere. Sta ancora uccidendo e sta ancora cambiando». La conseguenza? «L'Oms non dichiara l'inizio di una pandemia e non ne dichiarerà nemmeno la fine. Tuttavia, un mondo stanco di Covid probabilmente interpreterà questo annuncio in questo modo».
In effetti il mondo è stufo di parlare di Covid. È dal 2020 che l'emergenza condiziona le nostre vite. Da quando, cioè, gli esperti si accorgono che il patogeno, intercettato per la prima volta a Wuhan, città di 11 milioni di abitanti, non è solo un affare cinese. E mentre in Cina si isolano le città colpite, nel resto del mondo si alza il livello di allerta. Il 30 gennaio 2020 viene dichiarata un'emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. L'11 marzo, l'Oms annuncia al mondo la pandemia. Scattano le chiusure. I Paesi si blindano. Le frontiere si chiudono, i viaggi si dimenticano. Il 9 marzo 2020 l'Italia, primo paese europeo a essere azzannato dal virus, diventa zona rossa. Si blocca la vita sociale per proteggersi contro un virus sconosciuto che si insinua negli ospedali, nelle residenze per gli anziani, nelle case. La gente è sprovvista di tutto, a cominciare dalle mascherine. La conta dei morti quotidiana è un elenco di vittime senza il diritto di una sepoltura onorevole.
La fila dei camion militari con le bare di Bergamo diventa un'immagine indelebile nei nostri cuori e nelle nostre menti. Ci si parla dalla finestra, si applaude ai sanitari, veri eroi della pandemia, purtroppo già dimenticati. Il 22 dicembre arriva il vaccino e il virus perde la sua potenza mortale.
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