La guerra mediorientale, il dialogo interreligioso, la crisi diplomatica con l'Iran. Ma anche le posizioni del Pontefice e i suoi numerosi appelli a una pace mondiale.
Sono temi delicati e in questi ultimi giorni ancora più tesi nello scontro aperto tra Teheran e Israele. Ed è duro il giudizio di Lucetta Scaraffia, intellettuale cattolica, storica e opinionista, nota per le posizioni critiche verso il pontificato di Bergoglio.
Secondo i media iraniani il Papa avrebbe criticato Netanyahu giudicandolo incurante dei diritti umani. Cosa pensa?
«La frase citata dagli iraniani è orribile soprattutto se si pensa che è rivolta ai rappresentanti di un governo che promuove la distruzione di Israele e calpesta i diritti umani ma purtroppo credibile perché il papa ne ha già pronunciate molte dello stesso tenore. Fin dall'inizio del conflitto infatti si è espresso in modo chiaramente anti-israeliano: prima non condannando severamente il pogrom del 7 ottobre, poi rifiutandosi per molto tempo di ricevere i parenti degli ostaggi israeliani, infine ricevendoli insieme ad un gruppo di sedicenti parenti di palestinesi di Gaza in nome di una neutralità che poi non ha mai tenuto. Il proposito di mantenersi al di sopra delle parti, ai fini di svolgere un ruolo di pacificazione già espresso a proposito della guerra in Ucraina non è stato poi mantenuto. Le parole del papa su quanto succede in Medio oriente sono state sempre e solo di condanna a Israele. E non solo le parole: bisogna pensare anche all'episodio del presepe con il bambino avvolto nella kefiah palestinese con il quale si è fatto fotografare».
In questi giorni il Papa viene spesso «tirato» per la tonaca dall'una e dall'altra parte. Cosa pensa delle posizioni di Francesco sulla questione mediorientale?
«Penso che il papa sia male informato: lo rivela il suo citare sempre il parroco di Gaza un argentino che risiede a Betlemme come fonte delle notizie, e mai ad esempio il cardinale Pizzaballa, del quale del resto ha dato anche una informazione sbagliata, e cioè che gli israeliani gli avessero vietato l'ingresso a Gaza, quando non era vero. Sembra che non si renda conto del peso morale oltre che politico delle sue parole, sembra non conosca la storia complessa e sofferta di Israele. Situazione delicata di cui non sembra cogliere la tragica importanza. Da questo punto di vista rivela i forti limiti del suo essere sudamericano, un argentino che si sente estraneo a tutto questo e si muove come un elefante in una cristalleria».
A che punto è il dialogo interreligioso a suo parere con Papa Bergoglio? E come sono i rapporti con la comunità ebraica?
«Il papa non si è mai dimostrato interessato al proseguimento del dialogo interreligioso con gli ebrei, che consiste soprattutto nel riconoscere l'ebraicità di Gesù e degli apostoli. Ma in realtà mi sembra disinteressato a tutti i tipi di riflessione intellettuale, ai quali preferisce invece argomenti sociali ed economici. Giustamente il rabbino Di Segni ha denunciato lo stallo in cui versa questo dialogo, segnale pericoloso per quanto riguarda i rapporti con gli ebrei, non solo gli israeliani».
Secondo lei il Papa dovrebbe essere più deciso nel condannare gli attacchi in Israele?
«Il papa dovrebbe essere più giusto quando parla di questo conflitto.
Sarebbe già un passo in avanti se riuscisse veramente a sostenere una posizione super-partes, per questo e per la guerra in Ucraina, ma la sua parzialità pro-Russia e pro-Palestinesi trapela continuamente, rivelando in sostanza una posizione anti-occidentale e soprattutto anti Usa, tipica dei sudamericani».
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