"In Paradiso vedrò Alfredino". Addio all'Angelo di Vermicino

Il suo ultimo desiderio in un'intervista al "Giornale": "Nel pozzo lo toccai. Mi sfuggì. Lo abbraccerò in cielo"

"In Paradiso vedrò Alfredino". Addio all'Angelo di Vermicino

«Il sogno più bello? Rivedere il mio Alfredino in Paradiso. Quaggiù, sulla terra, nel pozzo maledetto, toccai il suo corpo. Ma mi sfuggì. Quando sarò morto spero di abbracciarlo, lassù, in cielo».

«Il Giornale» intervistò Angelo Licheri l'ultima volta tre anni fa. Era luglio 2018 e sulle prime pagine campeggiava la storia dei 12 baby-calciatori rimasti intrappolati in una grotta in Thailandia. La storia evocava, se pur con caratteristiche diverse, il dramma di Alfredino Rampi e ci parve naturale sentire l'opinione di chi a quella tragedia era legato indissolubilmente: l'Angelo (di nome e di fatto) di Vermicino.

Angelo ieri ha spiccato il volo verso le nuvole bianche che si è meritato, e dove certo realizzerà il desiderio di incontrare il piccolo Alfredino, morto in «diretta tv» al termine di una no-stop televisiva di 18 ore che rappresenta una delle pagine più nere dell'«informazione» Rai.

Fu proprio grazie a quelle telecronaca infinita che Licheri divenne un personaggio mediatico. Un'esperienza che ne segnò il resto dell'esistenza, sempre minata da problemi di salute.

Gli ultimi anni Angelo li ha trascorsi su una sedia a rotelle, solo, in una casa di riposo appena fuori Roma. Qui lo raggiungemmo e lui fu lieto di testimoniare il «giorno più buio di una vita sfortunata».

Sforzandosi di sorridere, Licheri si augurò che i bambini thailandesi non facessero la fine di Alfredino: fu di buon auspicio, i 12 baby calciatori vennero salvati. Alfredino no, per lui, 40 anni fa, le cose andarono diversamente.

Una cicatrice indelebile per un Paese dove ancora non esisteva la Protezione civile, ma che già si abbeverava a quella prima sorgente della «tv del dolore»: un rivolo che negli anni a venire divenne torrente e poi mare.

Nell'angosciante estate 1981, per salvare un bambino incastrato in un cunicolo, non si trovò di meglio che appellarsi a «persone di piccola taglia in grado di entrare nel tunnel»: Angelo Licheri rispondeva all'identikit fisico, in più era un uomo dall'animo buono. Generoso e altruista, il «profilo» perfetto per tentare un'impresa impossibile. Ma che impossibile rimase.

Un fallimento reso ancora più clamoroso dalla presenza tragicomica sul luogo della sciagura del presidente della Repubblica Sandro Pertini in versione showman.

Milioni di italiani erano diventati un tutt'uno con il televisore. Ma uno solo si alzò dal divano correndo sul luogo della tragedia: lui, Angelo, un sardo trapiantato a Roma, alle spalle mille mestieri («Un solo mestiere non ho mai fatto: il ladro»).

Arrivato sul posto, Licheri urlò ai soccorritori che traccheggiavano: «Ora mi avete rotto i coglioni... vado giù. Devo prendere Alfredino».

Una calata agli inferi di 60 metri. Inutile. Quel bimbo di 6 anni, invece di riemergere, sprofondò ancora di più: «Ricordo la sua voce, quasi impercettibile - ci disse Angelo -. Si lamentava. Arrivai a toccarlo. Sfiorai i suoi occhi con le punte delle mie dita. Io ero in verticale a testa in giù. Lui era incastrato e ricoperto di terra. Riuscii a parlargli. Gli dissi che gli avrei regalato una bella bicicletta».

Alfredino non rispose, non poteva rispondere: «Aveva le palpebre ricoperte di terra. Io provai a pulirgliele. Poi lo imbragai e detti il segnale per tirare su la corda da cui penzolavo. Ma lo strattone fu troppo violento. Io avevo preso Alfredino per un polso. Sentii crack: l'osso del bimbo si era spezzato. Quel rumore mi perseguita. Ancora oggi avverto come un senso di colpa. Ero lì per salvarlo. E invece, involontariamente, avevo aggiunto sofferenza a sofferenza. Dovetti mollare la presa. Gli lanciai un bacio».

Prima di congedarci, chiedemmo ad Angelo: «Ti

capita di ripensare ad Alfredino?».

E la sua risposta fu: «Per anni l'ho sognato. Il suo ricordo è parte di me, della mia mente, del mio cuore, della mia anima. Quando morirò ci riabbraceremo in Paradiso. Ne sono sicuro».

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