Paralizzare il nemico per poi annientarlo. Sergey Surovikin, il comandante russo soprannominato generale Armageddon, l'ha già fatto in Siria. Ora ci riprova in Ucraina. Per lui lo scenario è lo stesso. In Siria non si fidava dell'esercito di Bashar Assad e iniziò spianando a colpi di bombardamenti aerei le difese dei ribelli islamisti. Ma chiuse la partita e liquidò il nemico solo quando ebbe a disposizione dei reparti siriani addestrati a dovere. In Ucraina vuole fare lo stesso. Dopo aver consultato i propri generali e visitato le prime linee ha capito di guidare una forza largamente inadeguata. I 120mila effettivi previsti dall'Operazione Speciale non bastano a tenere i mille chilometri di fronte che dalle linee meridionali di Kherson risalgono fino a quelle nord-orientali di Troitske nel Lugansk. E, soprattutto, non bastano a fronteggiare un esercito ucraino dotato di missili a lungo raggio Himars, rimodellato dall'arrivo di oltre cinquemila reclute addestrate in Inghilterra e da qualche migliaio di contractor occidentali.
Così una volta constatata una «situazione molto difficile» (parole sue) il generale è corso ai ripari. Le offensive missilistiche accompagnate da incursioni di droni iraniani ordinate subito dopo l'insediamento al comando puntano all'immediata paralisi del nemico. Bersagliando centrali elettriche e snodi ferroviari Surovikin vuole immobilizzare truppe e armamenti, bloccare le controffensive di Kiev e facilitare l'azione, essenzialmente difensiva, delle truppe russe. Ma non solo. L'effetto «paralisi» unito alla prospettiva di un gelido e buio inverno di guerra serve anche ad erodere l'appoggio che la popolazione ha riservato fin qui al governo di Zelensky. Sul fronte interno punta, invece, ad assecondare un'opinione pubblica russa schierata con il partito della guerra e convinta che missili e droni andavano impiegati fin dall'inizio.
Poi però c'è il campo di battaglia. Lì i reparti ucraini riescono, grazie all'addestramento e ai satelliti Nato, a concentrare uomini e mezzi nelle zone del fronte più sguarnite e ad approfittare della scarsa reattività russa per sfondarne le linee. «Non voglio sacrificare le vite dei soldati russi... abbiamo i mezzi tecnici per costringere gli ucraini ad arrendersi». Le dichiarazioni di Surovikin, rilanciate dai blog russi, fanno capire che la risposta non arriverà a breve. Anche se Zelensky accusa: «Hanno minato la diga di Kakhovka». Se cedesse, ha detto, potrebbe inondare 80 villaggi con effetti drammatici. Accusa smentita dai russi. Per recuperare errori e svantaggi accumulati in questi mesi il comandante russo deve prima spostare a Kherson e nel Donbass cinquantamila uomini pronti al combattimento. Ma i mobilitati ancora da riaddestrare non rispondono a questo requisito. Per trovarli Surovikin deve muovere e riassemblare i battaglioni schierati lungo gli immensi confini della Russia. Nello spostarli deve tener presenti, però, non solo i problemi logistici, ma anche le incognite di una guerra capace di trasformarsi in conflitto mondiale da un giorno all'altro. Un risiko delicato in cui il tentativo di paralizzare il nemico fa i conti con le scorte non certo inesauribili di missili e droni.
Per questo l'offensiva russa, indispensabile per conquistare quel che manca della Repubblica di Donetsk e lanciare un'ipotesi di negoziato, dovrà, prima o poi, scattare.
L'occasione migliore, nei calcoli di Surovikin, si presenterà alla fine dell'inverno quando i mesi passati al freddo e al buio avranno compromesso non solo le capacità difensive, ma anche il morale degli ucraini. Il momento perfetto, nella strategia del generale Armageddon, per passare dalla paralisi all'annientamento.
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