La chiusura dell'account di Donald Trump e il 'boicottaggio' di Parler, social network vicino alle posizione della destra americana, impone una riflessione sulla libertà d'espressione. Ecco l'opinione delle 'zanzare' David Parenzo e Giuseppe Cruciani.
È giusto che aziende private, che svolgono comunque ormai un servizio pubblico, detengano il diritto di censurare autonomamente i profili?
Parenzo: “No, secondo me, queste grandi infrastrutture strategiche vanno regolamentate, o meglio si deve regolamentare l'ordine della discussione. Se uno avesse scritto una bestialità come: “W Totò Riina” che cosa sarebbe successo? Gli avrebbero chiuso il profilo. Quando, invece, qualcuno incita al fascismo si dice: “vabbè tanto è un'opinione...”. Qui la cosiddetta libertà d'opinione non viene messa in discussione. Qui c'è un altro tema. Twitter e Facebook hanno bisogno di silenziare Trump perché, in un momento molto critico, il presidente in carica non riconosceva il risultato elettorale e addirittura incitava i suoi alla rivolta tanto che c'è stato l'assalto a Capitol Hill. A quel punto il privato che gestisce quell'account, legittimamente, lo ha chiuso perché Trump ha violato le regole che si era impegnato a rispettare quando si è iscritto”.
Cruciani: “I social sono società private e hanno il diritto di fare quello che vogliono. Il problema è che spesso lo fanno per motivi politici. Pur essendo aziende private forniscono un servizio come il telefono e ormai sono talmente diffuse che chiudere un profilo è come privare qualcuno della libertà d'espressione. Il problema è che queste aziende agiscono in base a questioni politiche o algoritmi che capiscono solo loro. Se Trump fosse stato eletto, nonostante quello che ha scritto prima le elezioni (che non è diverso da ciò che ha scritto dopo), non gli avrebbero oscurato il profilo. Lo stesso avviene con la Donazzan in Italia che canta Faccetta nera. È chiaro che spesso ci sono pressioni politiche di alcuni gruppi che evidentemente scattare certe reazioni ora più che in altre occasioni”.
Perché se la censura colpisce ambienti di destra si grida meno alla scandalo e, anzi, spesso si applaude?
Parenzo: “Qui non è questione di destra o di sinistra. Se un imbecille scrivesse: “W le BR” o “W Totò Riina”, io vorrei che fosse censurato, mi indignerei ugualmente. La stupidità è pensare che il problema sia di destra o di sinistra. Certo, oggi siamo di fronte al fatto che un signore, grazie al suo incitamento, ha provocato l'assalto. All'opposto, mi incazzerei se qualcuno in Italia dicesse che la mafia ha creato molti posti di lavoro oppure che le BR hanno fatto bene a uccidere Aldo Moro. Chiederei la chiusura del profilo senza sé e senza ma e, non per questo, vorrei essere considerato un illiberale. Non è una questione di opinione tollerabile. Non si può essere tolleranti con gli intolleranti, come diceva Karl Popper, padre del liberalismo. Non confondiamo la libertà d'opinione con la libertà d'insulto e di istigare alla violenza. Io, poi, non accetto lezioni di libertà da una destra che fino a ieri considerava dei punti di riferimento Orban e Putin che hanno chiuso università e giornali. E ammetto che sia una contraddizione che loro siano ancora su Twitter".
Cruciani: “Questo avviene perché la libertà d'espressione è a corrente alternata. Con la scusa del fascismo, dell'incitazione all'odio, reati punibili già adesso attraverso le leggi attuali con una semplice denuncia, si vuole impedire di esprimersi e di comunicare con alcuni mezzi di comunicazione di massa che sono più importanti di Rai e Mediaset”.
Ci stiamo avviando a una dittatura del politicamente corretto stabilito dai Google, Amazon, Facebook e Twitter che hanno tarpato le ali al social Parler?
Parenzo: “No, è un'assoluta puttanata, anzi il polittically uncorrect è talmente mainstream che chi prova a dire: “guardate che questo, secondo me, non si può pubblicare”, divento io il censore. Ormai si può dire tutto e il suo contrario. Se Trump convoca una conferenza stampa, i giornalisti vanno e giustamente lo raccontano. Non diciamo puttanate. Oggi non si reprime nulla e impera il politicamente scorretto. E io che dico: 'guardate che le Br hanno fatto bene a uccidere Aldo Moro non è politicamente scorretto, è una stronzata', non sono politicamente corretto”.
Cruciani: “Il timore è questo: adesso dove si arriva? Siccome i padroni di questi social network sono molto potenti è evidente che non possono consentire lo sviluppo di strumenti di comunicazione dove nessuno può interferire. Di istigazione all'odio è pieno Twitter e Facebook e bastano le leggi attuali per punirlo”.
La chiusura del profilo Twitter di Libero mina la libertà di stampa?
Parenzo: "Beh, il giornale mi pare che sia uscito e lo stesso Feltri ha detto: “chi se ne frega”. Libero ha un suo direttore e un suo editore ed esce. Qui si parla della libertà d'opinione, ossia del fatto che il proprietario di Twitter ha deciso che alcune espressioni usate dal quotidiano Libero fossero incompatibili con la sua comunità. Sono il primo a dire che questa scelta non va lasciata in mano ai privati, ma o decidiamo che Twitter e Facebook sono responsabili dei contenuti che vengono veicolati e, quindi, fanno gli editori oppure se i social restano un campo libero in cui qualcuno può dire qualunque cosa, come in piazza, bisogna che qualcuno se ne assuma la responsabilità. Pensare che Twitter e Facebook siano delle zone franche dove ognuno è libero di dire quel che vuole oppure stabiliamo che insultare non è libertà”.
Cruciani: “Quello è un caso controverso. Non si è capito per quali motivi sia stato temporaneamente chiuso e, quindi, non mi avventurerei su questa polemica”.
La censura sui social dovrebbe essere regolamentata per legge? E se sì, come?
Parenzo: “Nel merito Twitter ha fatto benissimo a chiudere l'account di Trump, ma mancano una serie di norme che regolamentano questa infrastruttura strategica che, adesso, ci accorgiamo che può essere determinante nella creazione di un'opinione pubblica perché il social non è un giornale che ha dietro un editore che sceglie cosa pubblicare. Il dibattito pubblico sui social deve essere regolamentato, il che non lede la libertà d'opinione. Incitare alla violenza in una piazza non è possibile. Siccome oggi la piazza virtuale è come la piazza di una volta servono delle regole che c'erano anche quando i partiti facevano i loro comizi tant'è che se qualcuno incitava alla violenza interveniva la forza pubblica e, come minimo, ti multava. Ora non si capisce perché sui social tutto debba essere concesso”.
Cruciani: “No, ci sono già le leggi esistenti.
Poi i social network privati hanno le loro regole che spesso, però, vengono applicate in maniera un po' distopica e arbitraria. Spesso qualcuno può sospettare che ciò venga fatto per motivi politici dal momento che i loro fondatori sono grandi elettori del Partito Democratico americano”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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