Vertiginosa di nome e di fatto, la prima alta moda di Alessandro Michele per Valentino è come lui: un fiume di parole, pensieri, citazioni, immagini, riflessioni, innamoramenti, amori, e qualche gesto teatrale che in passerella non guasta mai. Le 48 modelle sfilano in una stanza tutta nera della vecchia Borsa di Parigi. Alle loro spalle scorrono in loop delle scritte rosse a led con i concetti chiave della collezione. Il punto di partenza è infatti Vertigine della lista, un saggio scritto da Umberto Eco nel 2009 (Bompiani) quando gli fu affidato un ciclo di conferenze da tenere al Louvre e lui ebbe quella che Michele chiama «l'idea vorticosa della lista». Lo stilista e il grande semiologo prima di lui alludono all'elenco di quel che serve per dare forma a qualcosa di cui non si conoscono confini e possibilità: un'opera d'arte, un testo, una musica e in questo caso un vestito fatto a mano in atelier.
«È come mettere l'Oceano nel bicchiere» avverte il nuovo direttore creativo di Valentino che per la sua prima couture ha utilizzato riferimenti d'ogni tipo. Si passa da Arlecchino a Via col Vento, dai dipinti di Goya a quelli di Fragonard aggiungendo in ordine sparso la contessa di Castiglione, Maria Antonietta, la principessa di Lamballe, Barry Lyndon e un cardinale che mangia il gelato in una piazza di Roma con la sua talare color porpora che tecnicamente si chiama «rosso ponsò».
Ma questo è ancora niente perché il rito incredibile della couture prevede tempi lunghi anzi lunghissimi per passare dal disegno dell'abito steso sul tavolo alla sua forma tridimensionale. Così alla lunga lista di componenti dell'immaginifico bisogna aggiungere quelli reali su cui le 90 sarte dell'atelier Valentino guidate da 5 premiére d'incredibile esperienza hanno l'ultima parola. «Non sono un sarto e forse neppure un couturier: so maneggiare abbastanza bene gli spilli ma qui ho scoperto tessuti che non conoscevo e tecniche di cui avevo solo sentito parlare» confessa nel dopo sfilata. Poi racconta di un abito con 650 metri di orlo, quasi la stessa distanza che deve percorrere su un ponte medioevale apparentemente sospeso sul vuoto per raggiungere Civita, il borgo di Bagnoregio in provincia di Viterbo in cui ha una casa.
Inevitabile a questo punto chiedergli chi mai indosserà una creazione tanto ingombrante quanto complessa. Lui serafico risponde che i vestiti sono tutti smontabili e una volta tolte le strutture sottostanti restano comunque meravigliosi perché fatti di tempo e fatica, due cose che danno una grande grazia, la proporzione ideale della bellezza. «Dobbiamo prenderci cura della lentezza, è qualcosa che rischia di estinguersi» conclude l'uomo che in meno di due settimane ha fatto la sua prima collezione Gucci cambiando per sempre i connotati alla moda maschile.
Qui nel giardino incantato dell'alta moda di Parigi parla di cuciture infinitesimali con cui alla fine si ottengono sculture da indossare.
Potremmo tentare di fare una lista delle donne che si possono permettere queste eleganti assurdità: qualcuno dice che in tutto il mondo ce ne sono al massimo 3.500. Ma per una volta i soli numeri da citare sono quelli del pensiero creativo.
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