«Esamineremo la crescita della spesa primaria netta, il ritiro delle misure di sostegno all'energia e se gli investimenti pubblici finanziati a livello nazionale vengono preservati». Il commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, al termine dell'Eurogruppo di mercoledì ha ricordato quali saranno i criteri di valutazione delle leggi di Bilancio presentate dai Paesi europei a Bruxelles. Ma se l'Italia deve dimostrare che la spesa pubblica diminuisce anche se si è aumentato il deficit per garantire il taglio del cuneo e l'abbattimento di un'aliquota Irpef, per due Paesi le stesse regole non valgono. Soprattutto in ambito energetico. E la situazione peggiorerebbe se il Patto di Stabilità venisse riformato secondo i disegni di Berlino. Non solo si dovrebbero fare sforzi di riduzione del debito, ma il deficit dovrebbe attestarsi sotto il 3% del Pil, utilizzando il margine di differenza per le politiche anticicliche.
Il governo tedesco la scorsa settimana ha presentato un massiccio piano di aiuti per ridurre i prezzi dell'elettricità che da diversi mesi colpiscono il settore industriale mettendolo in difficoltà. Il piano prevede tagli fiscali e sussidi su larga scala fino al 2028 e costerà «fino a 12 miliardi di euro» solo nel 2024. In buona sostanza, si garantirà alle imprese un costo di 70 euro a Megawattora (contro i 129 euro in Italia). «Un cambio radicale ed un attacco diretto al paradigma del mercato unico europeo, che cambierà per sempre la competitività relativa tra le manifatture dei diversi Paesi, danneggiando enormemente l'industria italiana», ha commentato il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, non nascondendo la propria preoccupazione. Anche perché le aziende energivore tedesche potrebbero beneficiare di questo regime fino a 5 anni. I minori costi di produzione, sovvenzionati dallo Stato, costituiscono un vantaggio competitivo indebito.
Analoghi benefici sono stati concessi alla Francia dal Consiglio Ue dell'Energia del mese scorso. In pratica, si è dato il via libera ai «contratti per differenza». Parigi potrà acquistare a un prezzo predefinito l'elettricità dalle vecchie centrali nucleari di Edf (l'utility di Stato) e rimborsare l'eventuale differenza rispetto al prezzo di mercato al produttore quando questo sia superiore a quello pattuito. Anche la Germania si è convinta a dare il proprio assenso e questo spiega il motivo per cui il presidente Emmanuel Macron si sia schierato con Olaf Scholz nella partita per la riforma del Patto.
Insomma, in entrambi i casi vi è tutt'altro che «un ritiro delle misure di sostegno», ma Bruxelles si guarderà bene dal sollevare obiezioni su ciò che aggrada a Parigi e a Berlino. In ogni caso, anche se volesse, l'Italia non potrebbe adottare misure analoghe. I margini già compressi del bilancio non consentono un intervento pubblico per calmierare i prezzi.
Tant'è vero che nel 2023 si è ricorso all'Energy Release, cioè a una quota di elettricità prodotta da rinnovabili messa a disposizione a prezzi più bassi. Ma nulla di comparabile alle politiche di Francia e Germania. Se scoppiasse una nuova crisi energetica, anche 10 miliardi di euro (circa lo 0,5% del Pil) ricavati da un minor deficit sarebbero insufficienti.
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