Parlamento ai "patrioti". A Hong Kong è legge il pugno duro di Pechino

La Cina avrà il potere di veto sui candidati: stop ai pro-democrazia. E slitta ancora il voto

Parlamento ai "patrioti". A Hong Kong è legge il pugno duro di Pechino

Dopo la piazza, la Cina si riprende il potere in Parlamento. Come se non fossero bastate le repressioni e le catture dei dimostranti, cose se non fossero stati sufficienti le intimidazioni e gli spari alla folla sempre più ferita e svilita.

Ieri, la controversa riforma del sistema elettorale di Hong Kong, è stata definitivamente approvata da Pechino, dando potere di veto alla Cina sulla scelta dei candidati allo scopo di assicurarsi che solo i candidati ritenuti idonei (i cosidetti «patrioti») governino la città.

La Cina sferra così il nuovo e definitivo attacco alle libertà di Hong Kong prendendo di mira il Consiglio legislativo della città. Il Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo, massimo organo legislativo della Repubblica popolare cinese, ha approvato la modifica alla Legge fondamentale dell'hub finanziario che riduce drasticamente il numero dei rappresentanti eletti direttamente dal popolo. La riforma ha esteso il numero di seggi da 70 a 90 e ha ridotto il numero dei rappresentanti eletti direttamente da 35 a 20. Riguardo agli altri membri, 30 verranno scelti dai collegi elettorali che rappresentano varie professioni e gruppi d'interesse e sono legati alla Cina, mentre 40 verranno scelti da un comitato che elegge anche il leader della città. Il comitato, che passerà da 1.200 a 1.500 membri, è controllato dai sostenitori del governo di Pechino. I candidati saranno sottoposti al vaglio di un organo separato che garantirà che la città sia governata «da patrioti».

Un colpo alla democrazia. La fine dell'opposizione. Il primo passo verso la riforma era stato mosso dal Congresso nazionale del popolo che ha autorizzato il Comitato permanente a modificare la Legge fondamentale, la costituzione in vigore a Hong Kong da quando l'ex colonia britannica è stata consegnata alla Cina nel 1997 nella cornice di «un Paese, due sistemi». La governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, megafono di Pechino,ha difeso la riforma sostenendo che non colpirà la libertà di voto dei cittadini. La leader ha inoltre annunciato un nuovo rinvio delle elezioni generali. Il voto era già stato posticipato di un anno lo scorso settembre, ufficialmente per la pandemia di Covid-19. E ora è slittato a dicembre. «È un giorno molto triste per Hong Kong. Il sistema elettorale è stato completamente smantellato», ha affermato l'ex parlamentare e membro del Partito Democratico Emily Lau. «Si sbarazzeranno delle voci dell'opposizione perché, credo, nessun individuo che si rispetti vorrà prendere parte a questo nuovo sistema, che è così opprimente e restrittivo», ha aggiunto. La modifica del Parlamento è l'ultima mossa di Pechino per reprimere il dissenso nella ex colonia britannica, che si è intensificato nel 2019 quando migliaia di manifestanti hanno protestato contro il disegno di legge sull'estradizione degli imputati in Cina. La risposta dal gigante asiatico non si è fatta attendere: ha introdotto la legge sulla sicurezza nazionale che punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere, rendendo più facile la repressione.

Al limite della farsa il commento della leader

Carrie Lam, che ovviamente si è prima affrettata a difendere pubblicamente la riforma, e ha poi affermato che chiunque soddisfi il criterio di patriota, anche se esponente dell'opposizione, potrà candidarsi alle elezioni.

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