Passi falsi, ingenuità e provocazioni finali. Così SuperMario ha cercato la rottura

Non avvezzo alla politica, s’è affidato solo a Letta nella gestione del rapporto con i riottosi grillini. Ambizioso, s’è detto pronto a fare il capo dello Stato. Poi, stufo dei giochini di palazzo, s’è fatto licenziare

Passi falsi, ingenuità e provocazioni finali. Così SuperMario ha cercato la rottura

Draghi probabilmente ha commesso errori che non sapeva valutare proprio perché ciò che sembra: un politico, prestato alla politica e amato politicamente proprio perché sembra estraneo alla politica. Quello che probabilmente non è compreso è che tutto ciò costituisce l'essenza di un uomo politico. Però al tempo stesso questa e stata la sua debolezza perché la mancanza di esperienza nella politica politicante gli ha fatto commettere errori ora ingenui ora venati dall'ostinazione. La sua idea di convocare nel palazzo del governo un unico leader Enrico Letta perché gli sembrava il più usabile nella gestione scomposta e trasandata di quel che resta del M5s, è stata una gaffe che non si può spiegare soltanto con la disattenzione. Diciamocela tutta: Mario Draghi è un uomo di destra che risponde a tutte le caratteristiche migliori della migliore destra: uno che crede col cuore e con la mente alla democrazia liberale e che insorge di fronte alla violazione sfacciata delle leggi internazionali. Senza se e senza ma. Punto. Alla gente, agli elettori, piacciono le persone senza se e senza ma. Tuttavia, la politica della realtà è molto più complicata, contiene rituali che in genere sfuggono anche ai giornalisti parlamentari con maggiore esperienza e possiamo supporre, solo supporre, che il senso pratico di cui è straordinariamente ricco, gli abbia fatto intravvedere delle scorciatoie che non esistevano.

C'è un problema di fondo e lo conosciamo bene: la sinistra non ha idee sufficienti per camminare con i suoi piedi ma è alla continua ricerca di bastoni che poi si rivelano serpenti. La testardaggine gli Enrico Letta nel volere oltre ogni limite ragionevole mantenere nel suo recinto la riserva indiana dei 5 Stelle è la causa della instabilità e di tutti gli equivoci di fondo su cui poggia la politica dei governi che si sono succeduti all'ultimo di Silvio Berlusconi proprio perché fu l'ultimo dei governi espressi da una volontà popolare.

È il momento in cui si ripassa alla moviola tutto ciò che Draghi ha detto, fatto, lasciato credere, realizzato o promesso per il nuovo gioco di società: la caccia all'errore del drago. Il primo che noi ricordiamo fu la sua sorprendente e un po' imbarazzante disponibilità ad andare al Quirinale sostenendo il contrario di ciò che ha sempre detto. E cioè che lui si trova a Palazzo Chigi per gestire con competenza, rapidità e soddisfazione i fondi europei indispensabili all'Italia per mettersi allo stesso livello delle grandi democrazie europee, visto che l'Italia non è sempre vissuta come una grande democrazia europea ma come la caricatura della democrazia. Ieri In Inghilterra girava una vignetta di Banksy in cui la Camera dei comuni appariva abitata da scimmioni. Si sa che gli inglesi non vanno sempre per il sottile: il senso era in una domanda: «Siamo diventati equivalenti agli italiani?».

Che Draghi abbia tutte le caratteristiche di un liberaldemocratico conservatore è evidente, tanto che il suo sponsor naturale è stato proprio Berlusconi che del resto lo aveva proposto per la banca centrale europea tirandosi addosso le ire del Presidente Cossiga, ma la conseguenza è sempre la stessa: il Pd, o comunque si sia chiamato in passato, è un fan storico dei governi democratici di destra perché gli tolgono le castagne dal fuoco. E Draghi sa benissimo che sulla sua immaginaria appartenenza si è giocata una partita delicatissima che purtroppo ha per ora vinto Conte lasciando sbalordito il centro destra. C'è anche il caso che Draghi, pur essendo perfettamente consapevole del delicato equilibrio fra essere e apparire, abbia giocato una mano masochista: mandare al diavolo tutto per chiamarsi fuori dalla politica, ma agendo con procedure formalmente impeccabili ma facendo scattare una risposta sorpresa e irritata proprio dal centro destra che più gli somiglia. Quel che è certo è che nessuno si aspettava una sequenza di sorprese che, secondo le voci di palazzo, avrebbero messo in crisi lo stesso Presidente della Repubblica.

È stato un po' come tirare la palla in tribuna nel momento in cui stai per segnare e questo gesto inatteso ha scompaginato l'iniziativa del governo che stava procedendo come accade sempre alla vigilia delle elezioni, fra maree e marette. Ma resta il dubbio: può un uomo così sottile ed esperto aver assecondato una catena di errori evitabili?

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