Insomma, un altro giorno è passato, le delegazioni sono sfilate davanti alle bandiere e siamo ancora al punto di partenza. L'esploratore infatti si è un po' perso nella selva oscura. «Volete Giuseppe Conte?», ha chiesto Roberto Fico ai partiti. «Si», gli hanno risposto con varie gradazioni di entusiasmo Cinque Stelle, Pd e Leu. Manca il quarto si, quello di Italia Viva, e forse non arriverà mai. O lo faranno sudare. Per il momento sono fermi sul ni, boh, vedremo, nessun veto. In sostanza, prima vogliono «un patto scritto, un documento», poi, quando il premier sarà bello rosolato, si parlerà delle cariche. Prima i programmi, la squadra e i rapporti di forza interni, da fissare nero su bianco. Poi, gli incarichi. «I nomi arrivano alla fine», spiega Matteo Renzi. Conte, adieu.
Al Quirinale rifiatano dopo le 32 ore intense di consultazioni tra mercoledì e venerdì e osservano con un certo distacco la piega che sta prendendo il negoziato, che è quella prevista. Renzi ha le carte migliori e sta provando a imporre il suo gioco: trovare un accordo sui contenuti e sui ministri e, solo dopo, discutere di chi intronare Palazzo Chigi. Conte è nel panico. «E se alla fine butta lì il nome di Fico?». Presidente della Camera, esponente di spicco del movimento, incaricato sia pur per una semplice «verifica di praticabilità»: come potranno i grillini opporsi a lui, sostenere di non volerlo? Del resto l'esplorazione è nata proprio sul non detto, sul ruolo futuro dell'avvocato di Volturara Appula: tornerà allo studio Alpa o continuerà ad amministrare il Paese, tentando di portarlo fuori dalle tre emergenze di cui ha parlato Sergio Mattarella? Chissà. Per come si erano messe le cose, per come si era incartata la crisi, il capo dello Stato in questa prima fase si è dovuto accontentare di una disponibilità generica dei quattro a collaborare e della caduta più o meno convinta dei veti incrociati. I particolari spicci, il negoziato sul programma e le poltrone, li ha lasciati alle forze politiche. Se la sbrighino loro. E tra i dettagli c'è pure Conte.
Quello che importa, nella prospettiva del Colle, è «riaccendere presto il motore»: nell'Italia dove il malcontento sociale rischia di diventare presto un problema di ordine pubblico, non c'è più spazio per le esitazioni. Il Recovery Plan con i suoi 209 miliardi è forse l'ultima occasione per ricostruire e ammodernare il Paese. E visto che votare in piena trattativa con l'Europa sarebbe una pazzia e che non esiste in Parlamento una maggioranza che voglia andare subito alle urne, Mattarella ha mandato in pista Fico con il compito di rincollare i frantumi giallorossi. Se l'operazione funziona, avremo una maggioranza e un governo proiettai almeno fino all'elezione del prossimo presidente della Repubbica, tra un anno. Forse pure alle politiche del 2023.
Però, spiegano dal Colle, servono «mutamenti profondi». Squadra, programmi, atteggiamenti: tutto deve cambiare, tanto più che non ci troviamo e fronte a una verifica o a un rimpasto, ma a un possibile nuovo governo. Se quello uscente ha tenuto botta in primavera nella prima ondata del Coronavirus, dopo è mancato il colpo d'ala. La capacità di programmare. Troppi dpcm, troppi rinvii, troppi inutili comitati, nessuna condivisione. Nei mesi scorsi il capo dello Stato ha ripreso diverse volte Palazzo Chigi, invitandolo a «maggiore collegialità» e a un confronto con il Parlamento. Ora che entriamo in un'altra stagione, quella dei «costruttori», come ha detto a Capodanno, non si può cincischiare. Occorre «una discontinuità profonda».
Dunque, Conte o non Conte, bisogna sbrigarsi per dare una risposta ai problemi italiani. Fico ha tempo fino a martedì per risolvere il cruciverba politico e tornare al Quirinale. Tutti gli occhi sono su Iv: si accontenteranno di un rivolgimento del piano di rilancio da consegnare all'Europa? Di un ministero importante per Maria Elena Boschi? Vorranno davvero la testa dell'avvocato o si faranno andar bene quelle di Gualtieri, Bonafede e Arcuri?
E se rianimare la coalizione uscente, con senza
Conte, si rivelerà impossibile, ecco la seconda opzione, il governo istituzionale. Musica per Renzi, una soluzione difficile ma «valutabile» anche per il centrodestra. Dalla Cartabia a Draghi, nomi e suggestioni non mancano.
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