La parola d'ordine è: «Evitare nuovi strappi». Nel Pd ancora tramortito dalla sconfitta, e le cui lacerazioni sono già venute alla luce in questi giorni, si tenta di non dividersi platealmente sui primi passi della legislatura. Così, in vista dell'appuntamento di oggi pomeriggio con l'elezione dei due nuovi capigruppo Dem, il «reggente» Maurizio Martina si è dedicato ad un'opera di tessitura che dovrebbe portare al seguente risultato: i presidenti dei gruppi Pd di deputati e senatori saranno quelli indicati da Matteo Renzi, quindi Lorenzo Guerini alla Camera e Andrea Marcucci al Senato; mentre il fronte anti-renziano avrà la sua compensazione nelle successive elezioni degli uffici di presidenza delle Camere. Ci saranno da scegliere due vicepresidenti (uno a Montecitorio e uno a Palazzo Madama), due segretari d'aula, forse un questore: poltrone ambite, anche perché saranno le uniche - o quasi - cui il Pd potrà puntare di qui alle prossime elezioni, a parte forse la guida di qualche commissione di garanzia.
«Andare alla conta significherebbe spaccarci», ha ricordato Martina agli esponenti della minoranza che lamentavano le «imposizioni renziane». Il capogruppo uscente Ettore Rosato però ricorda che Guerini e Marcucci «non sono gli unici ad avere le caratteristiche giuste per guidare i gruppi, ma di sicuro le hanno, e non possono certo essere discriminati perché renziani». Dalla minoranza, Gianni Cuperlo avverte che «certo non possono essere discriminati i renziani, ma non possono neppure occupare loro tutti i posti: ci vuole discontinuità». La «discontinuità» potrebbe arrivare al Senato, con l'indicazione della orlandiana Anna Rossomando come vicepresidente dell'assemblea. Alla Camera la questione è più incerta, e ieri circolava anche il nome di Matteo Orfini per la carica di vice di Fico. Mentre si tira fuori da ogni partita Maria Elena Boschi, spesso chiamata in causa dai giornali per questo o quel posto: «Ringrazio per la gentile attenzione che alcuni organi di stampa mi riservano - dice - ma non sono in ballo per nessun incarico: una volta insediato il nuovo Governo farò il mio lavoro di deputata di opposizione. Sono costretta, quindi, per l'ennesima volta a smentire ipotesi che non esistono e per le quali i gruppi parlamentari del Pd potranno individuare colleghi molto bravi e preparati».
Il ruolo dei capigruppo è cruciale in vista delle consultazioni per la formazione del futuro governo: toccherà a loro portare al Quirinale la linea del Pd, e Renzi non vuole correre il rischio di mandarci esponenti dell'ala «trattativista», che vorrebbe un Pd in gioco pronto a far da sponda ai Cinque Stelle. Col passare delle ore, però, appare «sempre più chiaro che Salvini e Di Maio hanno già l'accordo in tasca», osserva Rosato, «e che vogliono andare insieme al governo e possibilmente rimanerci per i prossimi cinque anni: basta vedere come stanno flirtando su reddito di cittadinanza e flat tax». E l'idillio tra grillini e Lega toglie le castagne dal fuoco al Pd, e bagna le polveri di chi, tra i Dem, avrebbe voluto fare da sponda a Di Maio.
Orfini ieri è stato perentorio: «Portare il Pd con i Cinque Stelle significa liquidare il Pd», riducendolo a fare «l'ancella della Casaleggio e associati». Mentre se l'onere se lo assume Salvini, il Pd - di questo sono convinti i renziani - avrà solo da guadagnare a presidiare il fronte dell'opposizione. A patto di non spaccarsi prima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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