Lo spiffero arriva da una fonte vicina alla Fondazione Italianieuropei: «Massimo ha mille cose a cui pensare. Per ora è tutto congelato. Dovremmo rientrare...dovremmo. Non ci aspettiamo però che il Pd ci accolga con un vitello grasso». No, non è prevista una serata di gala per l'eventuale ritorno a casa del leader Maximo: Enrico Letta, a dire il vero, sta svoltando verso il centro dello scacchiere, meditando di abbandonare il MoVimento 5 Stelle al suo destino. La ricomparsa sulla scena Dem del post-comunista D'Alema stonerebbe rispetto al momento: sarebbe come gli arcinoti cavoli a merenda. La fonte dalemiana precisa: «Siamo in un limbo. Il problema verrà affrontato con i tempi e con i modi opportuni». La verità è che i luogotenenti del Pd hanno forti perplessità. Dipendesse dai fuoriusciti, dal ministro Roberto Speranza o da Pier Luigi Bersani, la ricomposizione del quadro sarebbe cosa fatta ma al Nazareno titubano. Chi ha rialzato la testa per il ruolo numerico giocato durante la partita del Quirinale è Base Riformista che, attraverso le parole rilasciate al Giornale dal senatore Alessandro Alfieri, sembra propendere con decisione per il fuoco di sbarramento: «Il Pd ha dimostrato di essere la dimora di culture e di sensibilità diverse. Se alcune persone prenderanno atto del loro fallimento politico, nessuno porrà veti. Però - aggiunge il plenipotenziario del correntone che vanta la maggior parte dei parlamentari iscritti al Pd - quello di D'Alema non sarebbe un ritorno neutro. Prima - ripete convinto - bisogna che prendano atto del loro fallimento politico. L'ingresso della ditta sarebbe contraddittorio rispetto alla logica delle Agorà: in queste ultime si aderisce come singoli e non come partiti». Tradotto: se qualche sparuto esponente dovesse bussare al Nazareno, le porte si aprirebbero. Per le velleità correntizie dalemiane vale un discorso inverso: «Noi siamo proiettati al futuro. Chi torna non può replicare le logiche del passato». Il tutto al netto dell'impostazione del partito - rimarca Alfieri che, peraltro, ha aperto alla riforma elettorale in senso proporzionale - che è sempre disposto a dialogare per natura. Quando il leader Maximo ha annunciato la volontà di rimpatriare, l'ex premier diessino ha diagnosticato ai Dem la guarigione dalla «malattia» del «renzismo»: una boutade che, soprattutto gli ex fedelissimi del fondatore d'Italia Viva, ossia i centristi del partito guidato da Enrico Letta, faticano a dimenticare. L'onorevole Martina Nardi si toglie qualche sassolino dalla scarpa ma ne fa pure una questione di agibilità politica: «Volente o nolente - osserva al Giornale -, fuori dal Pd non c'è uno spazio per una sinistra di governo. Se gli amici e compagni di Articolo 1 torneranno sarà perché hanno constatato che nel bosco ci si può stare solo in un grande partito.
Le motivazioni vere - chiosa - sono queste e non le affermazioni scomposte e di cattivo gusto che parlano di malattie varie Il gran ritorno del leader Maximo - lascia intendere la Nardi - sarebbe destabilizzante per una formazione politica che ora riflette sulla fine del neonato campo largo, sul proporzionale, sulle alleanze variabili e sullo smarcarsi da Giuseppe Conte e dal suo populismo. «Con il Quirinale - sentenzia sicuro Alfieri - abbiamo dimostrato di essere il partito più solido. Sinceramente...non possiamo stare dietro alle vicende di D'Alema».
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