Pd e Conte contro il commissario. E c'è la tentazione di "dimetterlo"

Ma un cambio ora alla Protezione civile sarebbe rischioso

Pd e Conte contro il commissario. E c'è la tentazione di "dimetterlo"

«Così non si va avanti». Manca poco all'ora di pranzo quando l'intervista mattutina di Angelo Borrelli diventa a tutti gli effetti un caso politico anche all'interno della stessa maggioranza. Nessuno pubblicamente punta il dito contro il capo della Protezione civile, ma le telefonate che arrivano a Giuseppe Conte da più di un ministro del Pd sono inequivocabili. «Non è possibile continuare in questo modo, così finiremo presto per andare a sbattere», è il senso delle ripetute obiezioni riversate sul premier. Che, va detto, lui per primo non ha affatto gradito la sortita radiofonica di Borrelli che, candidamente, ha buttato lì come fosse un'ovvietà che «la fase due potrebbe iniziare il 16 maggio» e che comunque «questa situazione non passerà per il primo maggio». Inconsapevole o no (a Palazzo Chigi e nel Pd si scommette sulla seconda ipotesi), il capo della Protezione civile ha di fatto smentito bellamente la linea del capo del governo, che solo due giorni prima aveva stabilito il lockdown fino al 13 aprile e che è molto attento nel seguire la politica degli annunci per gradi, così da non alimentare delusioni e insofferenze. Invece Borrelli proietta l'orizzonte temporale di un ritorno a una pseudo normalità addirittura fra oltre 40 giorni. Peraltro, non è la prima volta che la sua linea di tecnico diverge decisamente da quella della politica, nota Conte con diversi interlocutori. Il riferimento è all'intervista a Repubblica di dieci giorni fa in cui il capo della Protezione civile diceva - anche lì candidamente, anche lì smentendo la linea ufficiale dell'esecutivo - che i contagiati effettivi sono dieci di più dei numeri ufficiali.

Ancora una volta, insomma, «un uomo che dovrebbe essere impegnato alla guida di una macchina complessa e delicata come quella della Protezione civile in quella che è la più grave emergenza del Paese dal dopoguerra ad oggi, riesce incredibilmente a trovare il tempo per fare interviste a destra e a manca». Questa, almeno, la sintesi di quanto andava dicendo ieri un ministro del Pd. Che ancora non aveva sentito Borrelli dire - nella consueta conferenza stampa delle 18 - che «le mascherine non servono se si rispetta la distanza di sicurezza», ennesima puntata della comunicazione schizzofrenica e un po' sgangherata di chi gestisce dalle stanze dei bottoni questa crisi. Non è un caso che anche il segretario dem Nicola Zingaretti manifesti con i suoi forti perplessità, tanto che proprio ieri, ancora una volta, invocava la necessità di una cabina di regia per gestire il post crisi. D'altra parte, non è un mistero che a largo del Nazareno ci sia la convinzione che né Conte né Borrelli siano in grado di guidare da soli la catena di comando di questa emergenza. In effetti, quello del capo della Protezione civile è solo l'ultimo di una serie di scivoloni comunicativi che non hanno aiutato affatto la gestione della crisi. Basti pensare, solo per citarne alcuni, alle anticipazioni sul dpcm che hanno dato il via all'assalto alle stazioni del Nord o al pasticcio causato dalla circolare del Viminale sull'ora d'aria per i figli minori.

Insomma, per la maggioranza una giornata complessa e tesa. Anche se sia Palazzo Chigi che il Pd hanno evitato di farsi trascinare nella polemica e hanno chiesto di replicare a Borrelli a Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità. Un modo per lasciare la querelle ai tecnici ed evitare che diventi un caso politico. Che però sottotraccia c'è e va crescendo.

Con la consapevolezza - di Conte e dello stesso Zingaretti - che nel bel mezzo di una simile crisi è di fatto impossibile dimissionare il capo della Protezione civile senza che i contraccolpi non arrivino a far ballare governo e maggioranza.

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