Il Pd non ha i numeri per le riforme

Renzi, Serracchiani e Bonafè sicuri di fare le riforme anche senza Berlusconi, ma non è così...

Il Pd non ha i numeri per le riforme

"Se il patto del Nazareno è finito, meglio così. La strada delle riforme sarà più semplice. Arrivare al 2018 senza Brunetta e Berlusconi per noi è molto meglio". Ne è convinta Debora Serracchiani, vice segretario del Pd, che a caldo ha commentato la scelta di Forza Italia di rompere il Patto del Nazareno. Stamane, al termine dell’ufficio di presidenza, Giovanni Toti ha infatti definito “rotto, congelato, finito” il patto sfidando la maggioranza e il premier Matteo Renzi.

"Stando ai numeri che abbiamo espresso in Senato io non starei così sereno. Forza Italia è stata più volte determinante". Il premier, ieri, infatti, aveva detto che sarebbe andato avanti noncurante dei “partitini, partitoni e partitucci”, e oggi i renziani sembrano quasi sollevati dalle parole di Toti. L’europarlamentare Simona Bonafè è stata alquanto sarcastica: "Non c'è più patto del Nazareno? Contenti loro, contenti tutti. Berlusconi rinuncia a incidere sul futuro del paese, problema tutto suo e dei suoi illuminati strateghi. Faremo le riforme e ci vedremo al referendum: gli italiani decideranno se stare con noi o con Toti e Brunetta". Anche sottosegretario alla presidenza, Luca Lotti, sembra rallegrarsi per la notizia: "Contenti loro, contenti tutti. Ognuno per la sua strada, è meglio per tutti. Per noi, sicuramente". Il ministro Elena Boschi, dopo aver annunciato che la prossima settimana la Camera voterà sulle riforme, non si è scomposta di fronte al passo indietro di Forza Italia ma ha lasciato uno spiraglio per il dialogo: "Abbiamo una maggioranza ampia alla Camera. Andiamo avanti. Se ci ripensano, siamo qui". Il deputato Ernesto Carbone su Twitter ha commentato che "Non è morto il patto del Nazareno, è morta Forza Italia". Gli fa eco un altro renziano, il deputato Andrea Marcucci che sempre su Twitter ha scritto: "Non abbiamo accettato diktat per , non li accetteremo su riforme. avanti per approvare revisione Costituzionale e ", mentre il tesoriere del partito Francesco Bonifazi ha scritto:"Abbiamo avuto modo di apprezzare le qualità di Toti nella gestione dei numeri per l'elezione al Quirinale. Stiamo sereni, allora".

Ma, numeri alla mano, la maggioranza di governo è davvero autosufficiente? Se da un lato gira voce che nel Pd stiano tramando per la nascita di un nuovo gruppo parlamentare di “responsabili renziani”, dall’altro lato l’alleanza con il Nuovo Centrodestra è sempre più fragile e il partito di Angelino Alfano continua a perdere pezzi importanti. Basti pensare alle frizioni con Maurizio Lupi e a Barbara Saltamartini e Nunzia De Girolamo, pronte a passare con la Lega Nord. Ma è sul fronte interno che la maggioranza rischia di franare. Il dissidente Pippo Civati in questi giorni ci ha tenuto a ribadire che l’elezione di Sergio Mattarella “non riunifica proprio un bel niente” e che “le divisioni sulle politiche del governo restano”. Anche Pier Luigi Bersani ha ribadito che sulle riforme la minoranza chiederà dei cambiamenti e ciò significa che il percorso è piuttosto in salita per Renzi. Uno dei motivi principali per cui il premier ha dovuto cercare l’accordo dentro il suo partito per l’elezione di Mattarella al Colle è proprio perché non controlla i gruppi parlamentari del suo partito. Bersani, infatti, nei giorni in cui si discuteva la legge elettorale al Senato, aveva riunito attorno a sé ben 140 parlamentari dissidenti su un totale di circa 450.

A questo si deve aggiungere che il Pd, sebbene all’apparenza sembri di nuovo unito al suo interno, è diviso in una miriade di correnti e molti parlamentari sono considerati “renziani della seconda ora” che sono cioè saliti sul carro del vincitore quando questi ha ottenuto la vittoria. Non è escluso che alle prime difficoltà possano abbandonare la nave prima che arrivi il nubifragio e con esso le riforme possono naufragare facilmente.

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