Niente trasferta in Europa: il giorno dopo la sonora sconfitta nei ballottaggi, Elly Schlein annulla anche l'incontro con la presidente del Parlamento di Strasburgo Metsola e decide di restare a presidiare il Nazareno a Roma. «Per non dare l'idea di quella che scappa e non si assume le responsabilità», spiegano i suoi. Responsabilità che, si affretta a precisare a destra e a manca Francesco Boccia, braccio destro e guida politica di Schlein, sono di tutti tranne che della leader: «Si è insediata a marzo, candidature e alleanze erano già state decise dal gruppo dirigente precedente».
Cioè, a ben vedere, da lui, che «mi pare fosse proprio il responsabile enti locali della precedente segreteria, no?», si interrogava retoricamente Gianni Cuperlo. E così ieri, nei frastornati capannelli dem tra Montecitorio e Palazzo Madama, il punching ball dei critici della nuova segreteria era diventato proprio Boccia e il suo «scaricabarile» (come lo definisce con durezza la portavoce di Enrico Letta Monica Nardi, ricordando che il segretario precedente «le amministrative le ha stravinte») per conto di Elly. Certo, «c'è un'ondata di destra in tutta Europa, non possiamo ridurre questa sconfitta a un caso italiano», dice Andrea Orlando. E poi, spiega l'ex bersaniano Nico Stumpo, «la differenza la ha fatta l'elettorato di centrodestra, evidentemente più motivato, che stavolta è andato a votare al secondo turno, invece di restare a casa come succedeva prima». Ma, se nessuno apre ufficialmente il processo contro Elly Schlein, una cosa è chiara: la luna di miele della segretaria è finita. Il mito del «tocco magico» registrato dai sondaggi e delle potenzialità salvifiche della «svolta a sinistra» si è infranto contro la realtà. Ora le diverse anime dem chiedono a gran voce una resa dei conti in Direzione, e la fine del «solipsismo autoritario» di Elly, come lo definisce una dirigente di lunga esperienza. Le famigerate correnti rialzano la testa. Pierluigi Castagnetti chiama a raccolta i cattolici dopo la «prevedibilissima» débâcle. Molti esponenti riformisti, da Valeria Fedeli a Giorgio Gori, firmano un documento con il Terzo Polo contro l'utero in affitto.
Ieri la segretaria si è collegata via zoom con il gruppo Pd al parlamento europeo, dove è andato in scena un nuovo psicodramma sulla linea di politica estera, e dove la leader «si è incartata», spiega chi segue il dossier: domani si vota l'Asap, il provvedimento per aumentare la capacità di produrre armi e munizioni anche ricorrendo al Pnrr. Il Pd ha già votato a favore, come il resto del Pse, ma ora ci ha ripensato: per evitare le critiche del Fatto e le punzecchiature del filo-russo Conte, il responsabile esteri Peppe Provenzano, in missione a Bruxelles, ha deciso che il Pd deve votare contro o astenersi. Il partito è spaccato: l'ala «pacifista» filo-Putin applaude, gli europeisti e atlantisti filo-Ucraina inorridiscono. L'ex ministro della Difesa Guerini sta tentando da giorni di convincere la segretaria a non avallare la forzatura, ma lei non sa che pesci prendere. E ieri, in ore di riunione tempestosa con gli eurodeputati (che domani si spaccheranno nel voto) per non scontentare né gli uni né gli altri ha evitato di prendere qualsiasi posizione: «Fate un po' voi», come se si trattasse del diametro delle zucchine e non di decisioni strategiche per il futuro d'Europa. Intanto i rosso-verdi le rinfacciano il caso Brindisi, dove la segretaria (e Boccia) ha puntato su un candidato amico di Giuseppe Conte, escludendo il sindaco uscente Pd. Risultato: un tonfo clamoroso. L'ineffabile Conte, dal canto suo, le fa la morale dall'alto del suo zero virgola per cento: «Meloni non si batte con i campi larghi, ma con un'idea diversa di paese».
E il centrodestra prepara l'affondo, avverte Nico Stumpo: «Queste amministrative erano un banco di prova, e gli è andato bene. Ora accelereranno la riforma delle provincie, che torneranno elettive. E nel 2024 ci sarà l'election day Europee-Provinciali: col traino locale ci spianeranno definitivamente».
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