Nel Pd sembrano quasi aver stappato lo spumante alla notizia dell'arrivo di Laura Boldrini. Dal segretario Nicola Zingaretti al tesoriere Luigi Zanda, passando per il capogruppo alla Camera Graziano Del Rio, si sprecano i commenti di giubilo e di benvenuto per l'ex presidente della Camera.
"Ieri Beatrice Lorenzin e oggi Laura Boldrini. L'iscrizione al Pd di due donne di grande valore è il segno di una sempre più chiara centralità del Partito democratico e dei valori di centrosinistra che rappresenta", ha commentato oggi il senatore Zanda spiegando che entrambe le deputate hanno in comune"a loro opera di difesa della democrazia rappresentativa e la loro sensibilità sociale". Parole molto vaghe e che prestano il fianco a più di un dubbio sulla possibilità che un Pd a guida Nicola Zingaretti possa tenere insieme personalità provenienti da due mondi opposti: la Lorenzin da Forza Italia e la Boldrini dal mondo del femminismo e dell'estrema sinistra un po' radical chic.
Se tutto questo porta Matteo Salvini a twittare "Il Pd è come un autobus: scende Renzi, sale la Boldrini! Ottimo acquisto", nel mondo della sinistra sorge un interrogativo: Zingaretti dove vuol portare il Pd? L'ex deputato Arturo Scotto, attuale coordinatore nazionale di Articolo 1, sul suo profilo Facebook attacca la scelta della Boldrini: "A un partito non si aderisce soltanto se c'è un segretario che dialoga di più. Perché i segretari passano e i partiti restano". E, prima di andare a scomodare il Pd del 'ma anche' di Walter Veltroni, spiega che ai democratici non basta certo "un restyling o uno scambio di figurine" per vincere. "Prendo la Lorenzin - quella del Fertility day per coprirmi a destra - mentre apro le porte a Laura Boldrini che sostiene esattamente - e aggiungo giustamente - l'opposto", scrive Scotto. E sì, perché basta prestare attenzione a un passaggio del discorso tenuto ieri da Nicola Zingaretti alla direzione del partito per tornare indietro di 11 anni. "Si devono verificare tutte le possibilità di allargare il nostro campo, a partire dai territori. Ora serve un Pd a vocazione maggioritaria per costruire un progetto forte e credibile", ha detto ieri Zingaretti. "Vocazione maggioritaria" era un'espressione veltroniana, prima che renziana. Un'espressione che risale alla campagna elettorale del 2008 quando Veltroni cercò di includere tutto e il contrario di tutto in un unico partito: l'allora neonato Pd.
“Di imprenditori c’eravamo io, Colaninno e Calearo”, ricorda a ilgiornale.it il deputato Giacomo Portas, leader del movimento locale i 'Moderati' eletto in un collegio uninominale in coalizione col Pd. Ora ha scelto di lasciare il gruppo dei dem per aderire a quello di Italia Viva ma "non vi entrerò e non voterò mai la fiducia a Conte e Di Maio perché a Torino ho sempre combattuto i Cinquestelle". A differenza di quello odierno, però, il Pd di Veltroni "aveva una forza importante e innovativa e, pur perdendo le elezioni, fece più del 30%". "Ma - aggiunge - all’epoca non c’erano ancora i grillini". E proprio l'alleanza col M5S "può essere un suicidio per i dem", spiega Portas.
"Il Pd del 2008 era un grande partito, un supermercato dove potevi trovare la bottiglia di champagne e il vino del paese, tanti prodotti insieme per dare un futuro all’Italia. Ora, mettendo dentro quest’anima populista e qualunquista dei grillini, perde di credibilità", conclude il leader de 'I Moderati'.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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