Hong Kong In fondo, le dittature di qualsiasi colore hanno sempre lo stesso punto in comune: delegittimano chi non la pensa come loro, e per liberarsene li assimilano a dei criminali, affidandoli poi alle cure della polizia e dei tribunali asserviti al regime. È quello che sta cominciando ad accadere anche a Hong Kong, dove la sfida sempre più aperta e ormai rabbiosa della popolazione locale, abituata a godere delle libertà democratiche, al protettore comunista cinese che gliele vuole sottrarre va rapidamente esaurendo la scorta di pazienza del presidente Xi Jinping. Le affollate manifestazioni contro Pechino si susseguono, il ruolo ambiguo della governatrice filocinese Carrie Lam è diventato ormai insostenibile (nel senso che nessuno crede più alla sua imparzialità di facciata), e dal punto di vista di Xi si impone una svolta: assimilare appunto i manifestanti a dei criminali davanti all'opinione pubblica cinese, e fargliela pagare cara una volta per tutte.
Un gruppo di 24 parlamentari dell'opposizione democratica di Hong Kong ha dato proprio questa spiegazione all'episodio a prima vista inspiegabile accaduto ieri in una stazione della metropolitana poco distante dalla frontiera cinese: un folto gruppo di teppisti mascherati appartenenti alle Triadi, le organizzazioni mafiose ben radicate nell'ex colonia britannica, ha aggredito con bastoni i passeggeri dopo una manifestazione contro Pechino particolarmente dura, che aveva visto l'assalto all'ufficio di rappresentanza cinese a Hong Kong, bersagliato con uova e pietre e imbrattato con scritte offensive. La polizia, chiamata in soccorso, si è presentata con ben due ore di ritardo e non ha arrestato nessuno, mentre durante la manifestazione anticinese aveva sparato proiettili di gomma e fatto largo uso di lacrimogeni, oltre a fermare diversi attivisti appartenenti a movimenti indipendentisti.
La denuncia dei parlamentari democratici è chiara: Pechino manda dei gangster a picchiare i suoi avversari politici, e contemporaneamente fa circolare sui suoi media immagini che assimilano le violenze politiche di piazza con quelle messe in atto da veri teppisti, ovviamente sorvolando sul fatto che questi ultimi erano al suo servizio. Il messaggio per l'opinione pubblica cinese è ovvio: Hong Kong scivola nel caos, il potere cinese non viene rispettato, serve ordine e noi provvederemo. Un video mostrato dai democratici parla più chiaro di tante parole: vi si vede certo Junius Ho, un parlamentare che sostiene Pechino e il governo filocinese di Carrie Lam, stringere le mani dei picchiatori e ringraziarli.
A questo si è ormai giunti a Hong Kong. Lo scontro è sempre più aperto, e non a caso una delle scritte lasciate dai giovani manifestanti sul muro esterno della rappresentanza del governo cinese diceva «ci avete insegnato con i fatti che le manifestazioni pacifiche sono inutili». Lo spirito delle centinaia di migliaia di persone che scendono in strada per chiedere ciò che non verrà mai loro concesso (il ritiro del progetto di legge che permetterà l'estradizione in Cina di «criminali» di Hong Kong) è ormai quello del «tanto peggio tanto meglio». Ma mentre il meglio è una pia illusione, il peggio si avvicina.
Avrà la forma di una retata di «terroristi», il cui comportamento violento per disperazione non fa che fornire ai loro odiati e strapotenti avversari il pretesto per schiacciare loro e la loro causa. Nel perfetto e vergognoso disinteresse di quell'Occidente da cui i ragazzi di Hong Kong si aspettano un aiuto che non verrà.
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