Vecchia storia quella dei prelievi sulle pensioni. Quando spuntano, i governi di turno li spacciano per misure di giustizia sociale. A volte una punizione per chi guadagna troppo, altre come mezzo per riportare un'equa redistribuzione delle risorse tra le generazioni. Ma alla fine si rivelano sempre per quello che sono. Un modo per fare cassa. Tappabuchi di bilancio oppure, peggio, un bancomat a disposizione dei governi a caccia di coperture.
Mai successo che i pensionati futuri abbiano beneficiato di una stretta su chi ha già la fortuna di incassare un assegno. Da questo punto di vista fa scuola la legge Fornero. Nel 2011, mentre il governo Monti bloccava il recupero dell'inflazione e il ministro del Lavoro varava il «contributivo pro quota» (quindi si danneggiavano pensionati e anziani), i requisiti per il ritiro dei giovani lavoratori diventavano proibitivi, facendo - di fatto - un balzo in avanti di dieci anni. Dai vecchi 58 anni, a 66 e oltre. Nessuno ci ha guadagnato, se non lo Stato.
Difficile non inserire le proposte di Tito Boeri, presidente dell'Inps, dentro questa tradizione. Negli ultimi giorni è tornato sul contributo di solidarietà del 50% sui vitalizi sopra gli 80mila euro. Politici, principalmente. Ma le altre ipotesi ispirate dall'economista ruotano attorno a un ricalcolo contributivo a volte totale, a volte solo per la parte dell'assegno che supera una cifra che potrebbe essere 3.000 euro lordi. Il costo per i pensionati è certo. Per Boeri è una percentuale limitata, per i sindacati, invece, di un salasso come minimo del 30%.
Ma non sono i progetti di riforma radicale a minacciare l'assegno dei pensionati. La storia è costellata di prelievi meno visibili. Quasi sempre concentrati sui redditi più alti, cioè su circa 1,9 milioni di pensioni sopra i duemila euro netti al mese.
Un classico è la limatura sulle «pensioni d'oro». Contributo di solidarietà, si chiama. Dal 2010 a oggi ce ne sono stati tre. Sempre concentrati sulle rendite più alte. Ma non sono nemmeno questi a penalizzare i pensionati. C'è un prelievo un po' più subdolo perché automatico. È il recupero dell'inflazione. Legato a coefficienti e soglie che sono state cambiati un continuazione negli ultimi anni, penalizzando tutti i pensionati sopra i 1.500 euro.
«Non fa eccezione l'ultimo governo», spiega Stefano Biasoli, segretario generale di Confedir, sigla dei dirigenti pubblici. Matteo Renzi ha risposto alla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco della rivalutazione delle pensioni del governo Monti, «restituendo solo il 20% del dovuto». Poi, con l'ultima legge di Stabilità, ha limitato la perequazione «continuando nella tradizione che vuole penalizzare i pensionati che hanno pagato i contributi». Per il segretario della Federspev Michele Poerio negli ultimi quattro anni 5,5 milioni di pensionati hanno perso tra il 20 e il 25% della pensione. Il risultato di uno stillicidio di prelievi, più o meno mascherati, iniziati 24 anni fa.
La Cgil ha calcolato che solo negli ultimi 4 anni la perdita per i pensionati è stata in media di 1.779 euro pro capite. Un «furto» da nove miliardi, secondo lo Spi Cgil, che però come soluzione propone di colpire le pensioni più alte, cioè oltre i 2,500 lordi. Circa 1.500 netti.
«Già dato» rispondono i pensionati più «ricchi». È proprio su questi che si sono concentrati gli interventi per fare cassa. La storia dei blocchi della perequazione, totale o parziale, inizia nel 1992. Con un freno al recupero dell'inflazione, che ai tempi era generosissimo.
Nel '98 un blocco per gli importi oltre 5 volte il minimo, l'anno dopo e fino al 2000 altri freni e penalizzazioni per gli assegni oltre tre volte il minimo. Quindi 1.500 euro lordi di oggi. Bloccati per un biennio da Monti.Con la ultima legge di Stabilità il nuovo taglio oltre i 2.000 euro. Ancora una volta, solo per fare cassa.
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