La Corte costituzionale respinge i ricorsi di incostituzionalità sui tagli alle pensioni d'oro, che scade nel dicembre 2016. Esclude, infatti, la natura tributaria dell'intervento e ritiene che si tratti di un «contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema». Per la Consulta è stato rispettato «il principio di progressività» e il taglio «pur comportando innegabilmente un sacrificio sui pensionati colpiti, sia comunque sostenibile», perché applicato solo alle pensioni più elevate, da 14 a oltre 30 volte superiori alle minime.
Viene così disinnescata una mina che poteva costare allo Stato un risarcimento di circa 160 milioni.
Le norme varate dal governo Letta con la Stabilità 2014 hanno introdotto un prelievo di solidarietà (che si è aggiunto al blocco dell'indicizzazione) sugli assegni previdenziali superiori ai 91mila euro lordi annui. In particolare, prevedono una decurtazione del 6% per chi percepisce tra 91.343 e 130.491,3 (da 14 a 20 il minimo). Il taglio sale al 12% fino a 195.737 euro e sale al 18% al di sopra di questa soglia. In pratica chi riceve una pensione di 100mila euro lordi annui ha perso 520 euro all'anno. Chi ha diritto a 150mila euro lordi annui si è visto decurtare circa 4.700 euro dal 2014, mentre chi tocca i 200mila euro ha dovuto rinunciare a poco più di 900 euro al mese (10.950 euro circa). Visti i numeri in gioco si comprende come la platea di questi pensionati sia esigua, qualche migliaio di persone composto da professori universitari, ex magistrati, dirigenti pubblici e privati. Il risparmio atteso era stimato in 53 milioni annui.
Non erano dunque in gioco cifre esorbitanti, ma la legittimità stessa del prelievo di solidarietà che, essendo stato impostato su base triennale, terminerà a partire dal primo gennaio 2017. Se l'Alta Corte si fosse pronunciata sfavorevolmente, il governo non avrebbe potuto riproporre il provvedimento.
Così, invece, il presidente dell'Inps, Tito Boeri, non dovrà abbandonare il suo progetto di riforma del sistema previdenziale che prevede una penalizzazione per i baby pensionati e per le pensioni di importo elevato, in cambio della flessibilizzazione dell'età pensionabile. Il rischio c'era, perché nel 2011 un analogo provvedimento del governo Berlusconi fu bocciato proprio dai giudici costituzionali. Ma stavolta è andata diversamente.
L'impugnativa delle disposizioni della Stabilità 2014 è stata proposta da alcune sezioni regionali della Corte dei conti sulla base dei ricorsi presentati da ex magistrati, ex professori universitari e dirigenti di enti pubblici e privati. Il giudice relatore era Rosario Morelli. Gli estensori del ricorso sostenevano che il reddito da pensione «non ha ragione di contribuire di più rispetto ad altri redditi alle entrate e uscite pubbliche», mentre un individuo che ha 300mila euro di reddito annuo non pensionistico concorre in misura inferiore rispetto a chi si è ritirato dal lavoro. Un argomento che riguardava l'articolo 3 della Costituzione sull'uguaglianza dei cittadini. A favore delle norme si erano costituite la Presidenza del consiglio e l'Inps.
La difesa, invece, si ispirava al principio di «solidarietà sociale, progressivo e temporaneo», per assegni da 14 volte il minimo Inps. Norme dirette a sostenere le salvaguardie degli esodati e assicurare la sostenibilità della spesa pensionistica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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