Perché la campagna elettorale non volerà sulle ali di Alitalia

Perché la campagna elettorale non volerà sulle ali di Alitalia

Il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, è stato molto chiaro: la vendita dell'Alitalia dovrebbe decollare prima delle prossime elezioni del 4 marzo. Il ragionamento potrebbe non fare una grinza perché la cessione prima delle calende greche (senza allusione alcuna...) sarebbe certamente un «atout» in più a favore di Renzi & C. in vista del voto: una specie di «jolly» per evitare quel terremoto politico che tantissimi sondaggi stanno indicando. Ma sarà molto difficile, quasi impossibile, portare a casa l'operazione nel giro di un mese o poco più. Per una ragione molto semplice: i tre commissari dell'Alitalia , Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, stanno ora per chiedere offerte migliorative ai possibili acquirenti rispetto a quelle che potevano essere ipotizzate al momento del loro insediamento, nel maggio dell'anno scorso. In effetti, la situazione economica della società, che perdeva due milioni di euro al giorno, ottantamila euro all'ora, appare ora meno drammatica.

Non è un caso che la «trojka» possa contare ancora su un buon «tesoretto»: proprio nei giorni scorsi, il governo italiano ha notificato all'Unione Europea la concessione di un prestito-ponte di 300 milioni che si aggiunge ai 600 già stanziati. Facendo una mano di conti, i vertici di Alitalia prevedono, quindi, che, in attesa delle ultime offerte, la vendita della nostra compagnia aerea potrà avvenire solo in primavera, magari subito dopo Pasqua, ma non prima del 4 marzo. In questo caso, non è certo mancanza di collaborazione al governo uscente: il problema è che il pallino ora è, appunto, in mano ai possibili acquirenti.

A tutt'oggi, in «pole position» sarebbero la tedesca Lufthansa e l'Air France, che è assieme a Easy Jet, anche se ci sono state altre offerte come quella di Wiz Air e del fondo americano Cerberus. A far pendere l'ago della bilancia a favore delle compagnie più grandi c'è pure la condizione posta, per quanto possibile, dai tre commissari: evitare una vendita-spezzatino. In altre parole, se prevalessero i «big» (facendo un sol boccone dell'Alitalia, sia Lufthansa che Air France potrebbero diventare i «numeri uno» in Europa), la compagnia italiana sarebbe ceduta «in toto», tranne l' «handling», i servizi a terra.

Ma, al di là dei futuri sviluppi della vicenda, il caso di Alitalia dimostra che è stato un grave errore, come già aveva paventato l'ultimo governo Berlusconi, abdicare a suo tempo allo straniero e, in particolare, agli arabi di Etihad. Se, infatti, si fosse difesa fino in fondo l'italianità della nostra aviolinea, forse oggi la situazione della società sarebbe stata diversa.

Un'ultima curiosità: cosa farà Gubitosi dopo la vendita? Qualcuno, considerando che in estate scadrà anche il consiglio d'amministrazione della Rai, ha ipotizzato un suo ritorno in viale Mazzini, ma lui, parlando con gli amici, ha detto che ha già dato con il cavallo agonizzante.

Eppure, l'ipotesi non è del tutto campata in aria anche perché, in un'intervista dell'anno scorso, lo stesso Gubitosi, a chi gli faceva notare che ci sarebbe voluta la stessa cura per i due gruppi pubblici, rispose che una differenza, comunque, c'era: all'Alitalia non c'è il canone e quindi alla Rai è stato tutto più facile. Vedremo.

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