Petraeus: "La vendetta non basterà. Adesso serve leadership"

Il generale Usa: "Ora è il momento di grande idee e di una guida strategica solida"

Petraeus: "La vendetta non basterà. Adesso serve leadership"
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A Israele non basterà la «vendetta» militare, ma serviranno «big ideas», grandi idee, per annientare la minaccia terroristica e immaginare la Gaza del dopo-Hamas. A parlare è il generale David Petraeus, King David, come venne soprannominato all'epoca per la sua visione di «nation building», prima in Irak, poi in Afghanistan. Le disavventure personali che nel 2012 lo costrinsero a dimettersi da direttore della Cia non hanno minimamente scalfito il suo prestigio. È ancora uno degli analisti più ascoltati negli Usa e in Occidente e il suo nuovo libro, Conflict: The Evolution of Warfare from 1945 to Ukraine, scritto insieme a Andrew Roberts, si annuncia già come un best seller.

«Penso che quello che gli israeliani stanno per intraprendere sia un compito dannatamente difficile, perché questo è uno di quei casi in cui l'azione militare è assolutamente necessaria, ma non è sufficiente», dice nel corso di una conversazione organizzata da Foreign Policy. Proprio dopo avere analizzato i conflitti sorti dopo la Seconda Guerra Mondiale, Petraeus sottolinea la necessità, da parte israeliana, di una «leadership strategica solida» che elabori «grandi idee» e le trasferisca a tutta la catena di comando. «E in questo caso le grandi idee devono essere qualcosa di più della semplice vendetta, che non è una strategia. Ci deve essere una visione per ciò che segue», spiega il generale, che non esita a riconoscere che nella Seconda Guerra dell'Irak, il «pensiero strategico» venne a mancare dall'inizio proprio nella definizione della «fase quattro», quella post-conflitto, la «più significativa».

Israele cosa ha in mente per Gaza, è la domanda. «Sono piuttosto fiducioso», replica Petraeus, convinto che «sia in corso un dialogo molto serio» tra i leader politici e militari dello Stato ebraico. Per Petraeus la «tragedia terribile, orribile, barbara e indicibile» del 7 ottobre può essere usata «come catalizzatore», così come lo fu la guerra del Kippur del 1973, che portò a un accordo tra Israele ed Egitto. «Distruggere Hamas» è il compito che verrà affidato all'Idf. «Fattibile», ma «molto costoso» in termini di vite umane, militari e civili e distruzione delle infrastrutture della Striscia. Ma, prosegue Petraeus, «parte della visione di quanto verrà dopo deve riguardare chi ripristinerà i servizi di base, chi si occuperà dei bisogni umanitari immediati delle persone, centinaia di migliaia delle quali hanno dovuto lasciare le loro case perché sfollate nel sud di Gaza. Quale sarà la visione per loro? Chi li amministrerà? Queste sono domande incredibilmente difficili a cui rispondere, ma è necessario avere una visione, è necessario che ci sia almeno una risposta provvisoria a queste domande. E direi che la visione dovrebbe essere più grande della sola Gaza. Dovrebbe riguardare anche la Cisgiordania».

E il ruolo dell'America? Per Petraeus la «grande idea» dell'Amministrazione Usa è innanzitutto «quella di sostenere Israele, ma credo che ci sia molto più di questo». Il motivo della prolungata missione nella regione del segretario di Stato Blinken e poi della visita del presidente Biden in Israele è proprio «sedersi e discutere del dopo». Una cosa è certa, dice Petraues, le scelte davanti alle quali si trova Israele, compresa la situazione degli ostaggi, «sono tutte relativamente sbagliate in partenza.

La domanda è quale sia la meno peggio e quella con le maggiori possibilità di ottenere ciò che si vuole veramente».

Tra gli obiettivi fissati da Petraeus, «impedire all'ala politica di Hamas di amministrare ancora Gaza», perché così il movimento terroristico rinascerebbe dalle sue ceneri.

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