La più bella vittoria della Nazionale

Nonostante le pressioni della sinistra gli Azzurri non si piegano al politicamente corretto. È il gol più bello messo a segno ieri sera

La più bella vittoria della Nazionale

Per chi non frequenta troppo il calcio, il gol più bello messo a segno ieri sera è stato vedere gli Azzurri in piedi prima della partita contro l'Austria. Non perché questo ci trova in disaccordo con la battaglia che quotidianamente tutti siamo chiamati a combattere contro il razzismo, ma perché nessuno di loro ha acconsentito a piegarsi al diktat ideologico dei buonisti. Il triste braccio di ferro andato in scena dopo la partita con il Galles, al termine della quale i sei della Nazionale che non si erano inginocchiati erano stati messi alla gogna da Enrico Letta, la dice lunga su una sinistra (il Pd in modo particolare) che ha completamente perso di vista le priorità della politica. In un momento tanto cruciale per la ripartenza del sistema Italia è mai possibile che la causa dei Black Lives Matter diventi il centro nevralgico del dibattito? Ovviamente no.

Ad oggi, forse perché ci troviamo ancora nelle fasi preliminari della competizione, di questo europeo andato in scena con un anno di ritardo a causa del Covid-19 si parla più per le polemiche politiche che per le prestazioni in campo. Certo, durante le tre partite del girone, la Nazionale di Mancini ha fatto girare la testa a tutti quanti. Ma le colonne dei quotidiani e le pagine dei siti sono state "imbrattate" di liti sterili che nulla hanno a che vedere con il calcio: le luci degli stadi a sostegno della causa arcobaleno, lo scontro a distanza con il premier ungherese Viktor Orbàn e, dulcis in fundo, l'assalto a Gianluigi Donnarumma, Leonardo Bonucci, Alessandro Bastoni, Jorginho, Marco Verratti e Federico Chiesa che avevano preferito rimanere in piedi mentre i compagni si inginocchiavano. "Francamente l'ho trovata una scena pessima", aveva commentato Letta intimando agli Azzurri di rimediare contro l'Austria. Non è stato l'unico, ovviamente. Tutti gli ultrà del politicamente corretto si sono accodati a dire la loro. Solo ieri, prima che l'arbitro fischiasse il calcio d'inizio allo stadio di Wembley, sono scesi in campo i soliti Roberto Saviano, Laura Boldrini e Alessandro Gassmann. Dispensatori di verità assolute, paladini del verbo progressista e attori (non richiesti) della crociata buonista che punta a schiacciare al suolo chi la pensa diversamente.

Una volta scesi in campo i calciatori dovrebbero concentrarsi unicamente a buttare la palla nella porta dell'avversario. Se, poi, qualcuno vuole compiere gesti di protesta (sempre nei limiti delle regole), può liberamente farlo, ma non dovrà mai e poi mai sentirsi in obbligo perché il leader di un partito o, ancora peggio, l'intellighenzia rossa fanno pressioni in tal senso. L'assalto alla diligenza azzurra non ha messo al centro del dibattito il sostegno (o meno) alla causa dei Black Lives Matter, movimento anti razzista statunitense che, partito da una protesta giusta, nasconde non poche ombre, ma ha messo ancora una volta in discussione la libertà del singolo. Nei giorni scorsi Guido Crosetto ha colto nel segno questo problema: "Sono antirazzista per educazione, costituzione mentale, non per moda - ha scritto in un tweet - posso manifestare il mio sentimento di disprezzo totale per il razzismo, come meglio ritengo? Posso farlo in piedi, facendomi il segno della croce o mettendomi una mano sul cuore o chinando il capo? O non vale?".

La libertà del singolo non può mai venir meno. Cosa ne sa Letta per definire "pessimi" i sei della Nazionale che non si sono piegati al conformismo buonista? E la Boldrini? E Saviano? Che diritto hanno di criticarli? Nessuno.

Nonostante questi talebani del politicamente corretto li abbiano bersagliati per una settimana intera, gli Azzurri non si sono inchinati: hanno cantato l'Inno e poi si sono messi, testa bassa, a inseguire la palla e il gol. E hanno così difeso quanto abbiamo di più caro: la libertà di decidere come comportarci.

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