Due paginette, un solo articolo, via tutto ciò che potrebbe entrare in conflitto con il diritto europeo. Rimane l'elenco dei 19 paesi sicuri, rimane soprattutto il senso politico del provvedimento. «Difendiamo i nostri confini, in Italia si entra solo seguendo le procedure previste», questo il mantra di Giorgia Meloni che incontra il favore di gran parte dei cittadini e anche il via libera del Colle. Sergio Mattarella, raccontano, non ha obiezioni e, preso tra la visita dell'emiro del Qatar Al Thani e una proiezione del film della Cortellesi, per tutta la giornata aspetta «con la penna in mano» che Palazzo Chigi spedisca il testo dopo le ultime limature. Non ci sono insomma, secondo il Quirinale, «profili di criticità costituzionale», anzi il decreto migranti «si adegua» all'indirizzo della Corte di giustizia europea. Promulgazione secca e imminente, nessuna lettera di accompagnamento, nessun rilievo da parte del capo dello Stato.
Del resto il buon esito era scontato. Dopo la decisione venerdì scorso del tribunale di Roma di non convalidare il trasferimento in Albania di dodici persone provenienti dall'Egitto e dal Bangladesh, il governo si era messo al lavoro per superare l'impasse. Tre giorni di contatti giuridici e di consultazioni internazionali, tante ipotesi sul terreno, il filo diretto con la presidenza della Repubblica. Alla fine si è scelta una linea soft, per tenere comunque il punto politico ed evitare, visto che la materia è ancora molto fluida, fumosa e provvisoria, scontri con la magistratura e con Bruxelles.
Dunque l'Italia «va avanti» sulla strada del contenimento dei flussi irregolari, con l'ambizione che l'accordo con l'Albania possa essere un modello da imitare per tutti. Il provvedimento precedente, licenziato dalla Farnesina e altri ministeri, era una norma secondaria, il decreto legge del governo rappresenta invece una norma primaria: forse sarà più difficile per un magistrato opporsi. Per decidere se un Paese e sicuro o no, i tribunali dovranno attenersi alla lista dei 19 Stati. «Abbiamo offerto un parametro che serve per l'applicazione corretta della legge», sostiene il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi che non nega il ricorso in Cassazione contro l'ordinanza delle toghe romane. E nel caso, un pronunciamento contrario porterà altro fieno a Giorgia.
Rispetto alle bozze iniziali è sparita la possibilità di ricorrere contro le ordinanze della magistratura, creando una sorta di secondo grado di giudizio e spostando i dossier dalle sezioni migranti dei tribunali alle Corti d'appello, in genere politicamente più neutre. È prevalsa però l'idea di non aprire un altro fronte con le toghe. «Dal governo c'è il massimo rispetto nei confronti della magistratura, istituzione fondamentale», ha spiegato il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, facendo capire che non è interesse dell'esecutivo in questo momento accendere ancora gli animi.
Rimangono delle incognite.
Alcuni Paesi dell'elenco, Perù, Ghana, Costa d'Avorio, potrebbero continuare a non rispettare i criteri descritti dalla sentenza della Corte di giustizia europea. E il 4 dicembre la Consulta stabilirà se i giudici dovranno attenersi alla lista del governo o se godranno di una certa discrezionalità. «Ma siamo pronti ad intervenire ancora», dicono a Palazzo Chigi.
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