L'idea delle dimissioni non lo ha neppure sfiorato. Nonostante le polemiche e la mozione di sfiducia presentata da Sinistra italiana, Movimento 5 Stelle, Lega e Gruppo Misto, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti dice che no, non si dimetterà, in attesa che passi la bufera sulla sua uscita infelice. Del resto si è scusato, ha ammesso di essersi espresso male affermando che sicuramente il Paese non soffrirà a non avere più fra i piedi i 100mila giovani che se ne vanno e che «i 60 milioni che restano non sono tutti dei pistola».
Incidente di percorso chiuso, dunque? Niente affatto, questa volta, perché le opposizioni sono insorte, definendolo «totalmente inadeguato». Soprattutto dopo che è venuta fuori la storia del mezzo milione di contributi pubblici ricevuti da suo figlio Manuel, giornalista e direttore del settimanale SettesereQui, con una tiratura di 5mila copie. Il web lo ha già crocifisso, bersagliando di critiche il post di scuse apparso su Facebook. La Lega Nord, invece, va all'attacco presentando «un esposto in Procura e alla Finanza per verificare la regolarità dei contributi concessi a Poletti jr con suo padre nel ruolo di ministro». La procedura di assegnazione del contributo è stata regolare o ci sono state interferenze nel processo valutativo? «È con convinzione e gioia» che Roberto Calderoli, Lega, dice di aver sottoscritto la mozione di sfiducia presentata dall'opposizione, perché «non esiste al mondo che resti in carica un ministro del Lavoro autore del disastroso Jobs Act e che insulta i nostri studenti». La mozione presentata ieri in Senato, intanto, fa la sua strada: «Il ministro - c'è scritto - ha nelle ultime settimane dato riprova di un comportamento totalmente inadeguato al ruolo, esprimendosi in più di un'occasione con un linguaggio discutibile e opinioni del tutto inaccettabili». Nel mirino c'è anche un'altra dichiarazione di Poletti sulla possibilità di evitare il referendum sul Jobs Act grazie allo scioglimento delle Camere e alla convocazione delle elezioni politiche. Anche all'interno del Pd qualcosa si muove. Sono i più giovani del partito a non digerire le uscite del ministro e a chiedergli di farsi da parte con una lettera aperta in cui sottolineano che per molti di loro «partire è diventata purtroppo una necessità». C'è anche l'aut aut di Roberto Speranza, della minoranza Pd: «Via i voucher o sfiducia». Ci va giù duro Arturo Scotto, Sinistra italiana, affermando che «prima se ne va Poletti, meglio è, a maggior ragione dopo le vergognose dichiarazioni sul referendum e sui giovani cervelli in fuga». Pronto a votare la sfiducia anche Maurizio Gasparri. «Poletti - dice il deputato di Fi - rappresenta il mondo delle coop rosse che io aborro».
Tra i giovani che non sono costretti a fuggire all'estero c'è il figlio di Poletti, finito nel tritacarne per le frasi del padre ministro soprattutto perché il suo giornale è finanziato con i fondi pubblici, anche se lui garantisce che l'illustre parentela non ha
mai influenzato la sua attività. Delle parole del padre dice di condividere il significato, perché non è affatto automatico considerare un cervello in fuga chi va all'estero e un mediocre chi decide di restare in Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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